Sin dalla sua nascita bitcoin ha attratto l’attenzione, per certi versi morbosa, delle più grandi istituzioni finanziarie e bancarie del mondo, anche in virtù dell’alto impatto che la tecnologia blockchain è parsa subito poter avere in ciò che ormai viene comunemente chiamato fintech; tra le maggiori banche al mondo quella che più probabilmente rimarrà famosa per essere stata la banca che più di tutte ha avversato la diffusione di questi mezzi di pagamento è sicuramente JPM.
JPM cambia idea sul Bitcoin
Ripercorriamo quindi brevemente la storia, non esattamente d’amore, tra BTC e JPM a partire dai suoi esordi; in principio bitcoin per JPM era solo uno schema ponzi, innumerevoli gli interventi pubblici nei quali la banca ha tentato di mettere in guardia gli investitori dal finire truffati da questo nuovo scandalo finanziario digitale. Lentamente JPM ha poi cambiato le sue valutazioni iniziali sostenendo che magari bitcoin poteva anche non essere uno schema ponzi, ma di sicuro era una bolla finanziaria; a supporto di questa tesi, con enorme originalità, JPM citava nei suoi interventi la famosa bolla dei tulipani formatasi tra il 1636 e il 1637; il fatto però che bitcoin, negli anni, entrasse e uscisse dai trend parabolici per tornare puntualmente ad assumere una configurazione rialzista in termini di lungo periodo (cosa che, per altro, si sta nuovamente ripetendo in questi giorni) ha indotto JPM a cambiare nuovamente interpretazione, affermando che il successo di bitcoin si giustificava con la tecnologia che ne sostiene il funzionamento, la blockchain appunto, e che presto questa tecnologia sarebbe stata assorbita dal sistema bancario condannando BTC al fallimento anche perché, a dire di JPM, questa non è una vera moneta ma un asset speculativo sostenuto sostanzialmente dal nulla, privo di valore intrinseco e senza casi d’uso concreti.
E’ questa la fase in cui abbiamo iniziato a sentire frasi del tipo “la tecnologia blockchain è sicuramente interessante, ma le criptovalute servono a nulla”; salvo poi il fatto che JPM ha di nuovo cambiato idea arrivando a comunicare che stava essa stessa lavorando all’emissione di una propria criptovaluta (che evidentemente non deve essere uno strumento così inutile, visto che ci stanno lavorando persino loro). In ogni caso, ha sempre sostenuto JPM, almeno fino ad oggi, questo non significa che bitcoin abbia un’utilità. Che affidamento si potrebbe fare mai in una moneta che non è garantita da nessuna istituzione centrale di nessun paese? Ebbene, oggi JPM ha cambiato di nuovo idea, almeno questo è quello che sembra leggendo alcuni dei report diffusi recentemente dalla stessa JPM, in cui, pur rimarcando come il grosso dei volumi sulle piattaforme di scambio globali (ben il 95% secondo la banca) siano in realtà falsi, il mercato bitcoin sembra comunque essere molto maturato rispetto al 2017. Il motivo?
Gli investitori istituzionali stanno iniziando a guardare con enorme interesse a bitcoin e alcuni hanno già iniziato ad investire in BTC, cosa che ha contribuito a far maturare ulteriormente il mercato (non solo dal punto di vista tecnologico, come avvenuto comunemente fin qui, ma anche in termini di liquidità). Il fatto poi che i futures bakkt potrebbero ben presto essere autorizzati dalla SEC rende questo mercato ancora più fruibile e allettante per gli investitori istituzionali. Dopo quest’ennesimo cambio d’opinione da parte di JPM non ci rimane altro che aspettare che la banca americana faccia il prossimo passo, che è anche l’ultimo che le rimane da fare, accettando semplicemente il fatto che bitcoin, pur non rispettando tutti i criteri classici di questa definizione, è ormai a tutti gli effetti una moneta globale, sostanzialmente la prima moneta globale nella storia dell’umanità.
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