David Solomon, CEO di Goldman Sachs, in audizione presso la camera nega che la banca abbia mai avuto intenzione di lanciare una piattaforma di trading per le criptovalute

La notizia aveva avuto una grande rilevanza nei mesi scorsi, rilanciata anche da giornali di portata internazionale (come bloomberg), tuttavia il CEO di Goldman Sachs, David Solomon, durante un’audizione presso la camera dei deputati USA l’ha bollata come falsa e infondata. Il CEO ha anche affermato che la banca sta osservando con grande attenzione l’evoluzione del mercato delle cripto, riconoscendo il potenziale tecnologico della blockchain, ma dichiara che non esistono ancora i margini perché Goldman Sachs possa decidere di lanciarsi a capofitto in questo settore.

goldman sachs

La banca nega la sua piattaforma di trading

La notizia relativa alla possibilità che Goldman Sachs aprisse un trading desk per le criptovalute aveva avuto grosso risalto sui media internazionali i quali, però, come sempre più frequentemente accade, citavano a conferma di queste affermazioni fonti “anonime”; appare ormai chiara da diversi anni questa degenerazione del giornalismo che continua a rilanciare notizie di ogni tipo accreditandole con formule come “nostre fonti riservate” o “fonti anonime ci riferiscono”, grazie alle quali diventa possibile pubblicare qualunque teoria senza lo straccio di una prova. Quanto riferito da David Solomon durante l’audizione di ieri acquisisce quindi una portata che travalica il settore delle criptovalute e pone seri dubbi sulla qualità del lavoro di alcune delle maggiori testate giornalistiche internazionali. Detto questo la tendenza che attualmente vediamo emergere è che da un lato gli stati sembrano tutti ormai chiaramente intenzionati ad investire pesantemente nel settore delle criptovalute e le maggiori banche non sembrano avere opinioni diverse; il punto, come scrivevamo in un altro articolo in cui riportavamo le dichiarazioni della direttrice dell’FMI, è che la tecnologia blockchain continua ad essere screditata dalle maggiori istituzioni mondiali che le preferiscono, ovviamente mi verrebbe da dire, la tecnologia DLT.

Da qui, come ripetiamo da tempo, la spaccatura nel mondo delle cripto, perché si tratta di due modi radicalmente differenti di intendere il valore della crittografia in futuro, da un lato le monete decentralizzate, che pongono le basi per un modello in cui cessa ogni bisogno di grandi istituzioni centrali, dall’altra le monete che usano la tecnologia DLT che prendono tutti i vantaggi della crittografia (transazioni istantanee, basse commissioni, elevata tracciabilità, etc) ma riaffermando la rilevanza delle grandi istituzioni centrali (banche, governi, etc). Come ho avuto modo più volte di ribadire si tratta però di un pacchetto all inclusive, non si può, in altre parole, permettere la diffusione delle monete costruite con la tecnologia DLT senza finire con il legittimare anche le monete decentralizzate (come bitcoin); e se da un lato è sicuramente vero che bitcoin può fallire, a causa della progressiva centralizzazione delle attività di mining o per la crescita dei consumi elettrici che l’algoritmo comporta all’aumentare della potenza computazionale espressa dalla rete, è anche vero che nulla vieta di pensare che in futuro possano imporsi altre monete, ugualmente decentralizzate ma con una governance (anch’essa decentralizzata) che permetta di superare i limiti attualmente visibili in bitcoin (e se ci vedete un’allusione a decred in queste ultime righe non sbagliate). Insomma, la battaglia è appena iniziata e, nonostante gli sforzi delle istituzioni, le monete decentralizzate continuano ancora oggi a sembrare destinate a prendere il sopravvento in un mondo in cui le persone diventano sempre più consapevoli dell’importanza di tutelare la propria privacy.

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