Criptovalute: la priorità della banca centrale cinese? Sviluppare una valuta virtuale di stato

Della volontà, da parte di un numero crescente di governi, di pervenire al più presto all’emissione di una CBDC (criptovalute garantite dalla banca centrale di un paese) abbiamo scritto molto spesso negli ultimi tempi, così come pure del fatto che tra i paesi maggiormente interessati a porre in essere questo passaggio epocale c’è proprio quella stessa Cina che è comunemente considerata uno dei leader mondiali quando si parla di industria blockchain.

cina blockchain

Le criptovalute sono una priorità per le banche?

Adesso arrivano ulteriori conferme di tutto questo dal momento che proprio la banca centrale cinese ha diffuso, in data 2 agosto, il contenuto di una videoconferenza con la quale trasmetteva le priorità del partito in fatto di iniziative economiche e finanziarie; ebbene, dal documento in questione emerge la banca centrale cinese considera la necessità di accellerare sull’emissione di una CBDC un obiettivo prioritario. Interessante anche, come si evince dallo stesso documento, il fatto che la banca centrale cinese consideri necessario prestare grande attenzione alla crescita sia delle altre cripto nazionali sia di quelle sviluppate all’estero; che la Cina potesse essere interessata alla creazione di una proprio criptovaluta era cosa che, francamente, era nell’aria già da un po’ di tempo, tuttavia la crescita del comparto a livello globale, oltre che la presentazione di libra poco più di un mese fa, hanno certamente contribuito non poco a dare nuovo impulso ai piani di Pechino.

Già il mese scorso, infatti, appena qualche settimana dopo la presentazione della nuova criptovaluta di facebook, Wang Xin (direttore della banca centrale cinese) aveva affermato che libra avrebbe potuto favorire lo sdoganamento delle criptovalute, tuttavia il proliferare di stablecoin legati al dollaro, a conti fatti, non farebbe altro che rafforzare l’egemonia della moneta statunitense sull’economia mondiale, con una serie di conseguenze che, secondo Xin, hanno ripercussioni sia politiche, che economiche, finanziarie e persino internazionali. Appare quindi del tutto chiaro che i cinesi non sono preoccupati dalla tecnologia in se ma dal rischio che un singolo paese acquisisca una leadership tale sul mercato da permettergli in futuro di poter ambire a influenzare, in differenti modi, l’economia mondiale; se poi questo soggetto dovessero proprio essere gli USA la cosa, inevitabilmente, per i cinesi rappresenterebbe un brutto grattacapo.

Intanto le tensioni commerciali tra Cina e USA non accennano a ridursi e anche a livello geopolitico il clima di insicurezza cresce, con l’Iran che rappresenta sempre più una mina vagante, gli USA troppo presi dagli affari interni per portare avanti una qualche forma di politica estera (attualmente a fare la parte del leone sullo scacchiere internazionale sembrano i russi) e la Cina impegnata a frenare gli effetti del rallentamento della sua economia (che pure continua a crescere a percentuali prossime al 6%) anche attraverso l’uso della tecnologia blockchain; in questo clima di incertezze e tensioni crescenti, quindi, non deve stupire che bitcoin continui a rafforzarsi, tanto più se, come pare, nel giro di qualche anno l’arrivo delle prime cripto di stato renderà ancora più semplice far affluire liquidità sul mercato delle criptovalute.

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