No, bitcoin non è un indicatore del livello di tensione sul piano geopolitico

L’ex direttore esecutivo di Deutsche Bank, Peter Tchir (attualmente collaboratore di Forbes) non ci è andato tanto per il sottile a questo giro sostenendo, in un articolo pubblicato ieri, che dietro ai movimenti di prezzo di bitcoin potrebbero esserci proprio le tensioni commerciali con la Cina; nel suo pezzo, infatti, evidenzia come il prezzo di BTC tenda a muoversi con più forza verso l’alto all’acuirsi delle tensioni tra USA e Cina. Pur ammettendo che ci sono molti fattori che incidono sul prezzo del Bitcoin, Tchir ha concluso che il suo valore come indicatore principale delle tensioni geopolitiche non dovrebbe essere ignorato; ora, come noto io sono tra i più accaniti sostenitori della tesi per cui bitcoin sia, prima di ogni altra cosa, una questione geopolitica, ma da qui ad affermare che il suo prezzo sia un indicatore del livello di tensione geopolitica a livello internazionale ce ne passa, e neanche poco.

Bitcoin non è un indicatore di livello di tensione

Quello che intendo quando dico che le cripto sono un fenomeno geopolitico riguarda anzi tutto la possibilità, per i paesi che ne sono coinvolti, di usare questi strumenti per svincolarsi dalle sanzioni imposte unilateralmente dagli USA e dagli europei, sanzioni che a volte sono certamente motivate, ma che in tante altre occasioni sono semplicemente ingiustificabili; la possibilità, inoltre, che il commercio internazionale si svincoli dal dollaro come moneta di riferimento (passando a bitcoin, una soluzione francamente più democratica) avrebbe sicuramente un impatto sull’influenza che gli Stati Uniti hanno sul resto del mondo.

Potremmo, in altre parole, immaginare bitcoin come una sorta di “moneta indipendente”, utile per gestire il commercio internazionale ed evitare così che questo rimanga legato al dollaro USA; così come le banche centrali, ad esempio, sono istituzioni autonome e indipendenti dai governi allo stesso modo ci serve una moneta autonoma e indipendente per regolare gli scambi mondiali. Per quanto sia vero, quindi, che il prezzo di bitcoin, al pari di qualunque altro bene rifugio, tenda a salire nei momenti di tensione (politica o economica che sia), questo non significa certo che possa essere considerato un indicatore di quanto alto o basso sia il livello di tensione sulla scena internazionale; è corretto evidenziare, noi di ValuteVirtuali lo facciamo sistematicamente, come e in quale misura bitcoin finisca con l’avere un impatto, in certi casi anche violento, sugli equilibri geopolitici internazionali, ma è francamente eccessivo arrivare a definirlo un indicatore del livello di tensione raggiunto.

Del resto basti considerare come in questi giorni, nonostante la tensione con l’Iran sia abbastanza alta, il prezzo di bitcoin stia in realtà scendendo; ovvio che bitcoin è diventato anche uno strumento politico, per cui non è un caso che proprio l’Iran abbia di recente legalizzato l’attività di mining nel paese e stia guardando con sempre maggior interesse al mercato delle criptovalute (che aveva sempre osteggiato con convinzione in passato); di conseguenza, quindi, le scelte che l’Iran fa nel regolamentare l’industria blockchain hanno una rilevanza internazionale, ma è sbagliato credere che il prezzo di bitcoin salirà solo perché sono aumentate le tensioni con l’Iran, con la Russia o con la Cina.

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