Il 2018 verrà ricordato non solo come uno dei bear market più dolorosi nella storia di bitcoin ma anche come l’anno delle stablecoin; questo abbiamo sostenuto tutti, per mesi, almeno fino ad oggi. Secondo uno studio pubblicato da blockdata questa settimana, infatti, nonostante il proliferare di stablecoin a cui abbiamo assistito nel corso del 2018 appena un terzo di questi progetti è stato capace di sopravvivere più di 12 mesi; circa il 70% delle stablecoin, infatti, o sono fallite o non hanno trovato alcun supporto.
Fallimento per le criptovalute Fiat
La ricerca di blockdata tenta di definire anche le cause per cui questo è accaduto e conclude che la larga parte delle stablecoin fallite nel corso dell’ultimo anno ancorava il proprio valore all’oro; di tutte le monete stabili incapaci di sopravvivere sul mercato, infatti, i due terzi erano ancorati proprio al metallo considerato bene rifugio per eccellenza. Il terzo restante, tra le monete fallite, pur essendo legato a valute fiat è finito strozzato dalla volatilità o non è riuscito a gestire correttamente gli accantonamenti; rimane poi una piccola parte di questi progetti che possono essere catalogati direttamente come truffe, avendo raccolto finanziamenti anche per diversi milioni di dollari senza avere la minima intenzione di dare realmente vita a un progetto. L’ultimo aspetto che viene analizzato da blockdata riguarda le piattaforme su cui le stablecoin sono costruite, con ethereum che mostra di essere il principale attore del mercato (almeno la metà delle monete stabili sono costruite usando la piattaforma di Vitalik), seguono con quote inferiori bitshare e stellar. Detto questo possiamo fare un paio di riflessioni di carattere più generale su questi strumenti; per prima cosa dobbiamo riflettere sul fatto che le stablecoin private appaiono già ora destinate tutte al fallimento per il semplice motivo che l’unica esigenza che soddisfano è la stabilità dei prezzi.
Se immaginiamo che in un prossimo futuro saranno proprio gli stati ad emettere criptovalute garantite dalle banche centrali, che saranno quindi essenzialmente delle stablecoin, ecco che questi stessi strumenti se emessi da privati perdono qualunque utilità; in un mercato in cui anche gli stati inizieranno a giocare un ruolo, in altre parole, non rimane alcuno spazio per i progetti dei privati. Mentre le criptovalute hanno una loro utilità che si basa essenzialmente sulla rete stessa, le stablecoin non hanno normalmente nemmeno una blockchain di proprietà; della molteplicità di criptovalute esistenti, poi, ognuna presidia un segmento di mercato differente e i vari progetti competono l’un l’altro diversificandosi in termini sia tecnologici (ad esempio per quel che riguarda i protocolli di consenso) sia in termini economici (per il costo delle transazioni). Mentre quindi il mercato delle criptovalute è naturale che sia così variegato, in virtù della molteplicità di esigenze e di soluzioni, quello delle stablecoin è un mercato statico, in cui tutti i progetti fanno sostanzialmente la stessa cosa, adottando la stessa tecnologia e tentando di risolvere il medesimo problema.
Questi progetti, per concludere, trovano ancora spazio per il semplice motivo che gli stati sono in ritardo nell’emissione di proprie CBCD (criptovalute garantite da banche centrali), tuttavia è facile ipotizzare che nei prossimi cinque anni le CBCD inizieranno a spuntare come funghi segnando inevitabilmente la fine delle stablecoin private.
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