A riportarlo è un comunicato stampa diffuso in data odierna dal quotidiano locale in lingua inglese Bangkok Post; l’autorità di regolamentazione thailandese ha in programma di rivedere il quadro normativo che regola il mercato delle criptovalute con l’intento di semplificarlo e renderlo più flessibile. Questa scelta deriva dal fatto che la regolamentazione nel paese è giudicata troppo rigida dalle aziende e questo impedisce la nascita di un’industria a livello locale; chi fa business con la blockchain, quindi, fino ad oggi ha preferito mettere radici in altre aree della zona, snobbando la Thailandia e preferendo paesi con una normativa più elastica. Da quando il nuovo quadro normativo è entrato in vigore nel 2018, infatti, solo cinque aziende sono riuscite ad ottenere le licenze necessarie ad operare legalmente nel paese, cosa che ha frenato molto la crescita dell’industria thailandese. Intervistato dal Bangkok Times Ruenvadee Suwanmongkol, il segretario generale della SEC thailandese, ha dichiarato che:
“Come autorità abbiamo il dovere di essere flessibili ed applicare i regolamenti in linea con l’ambiente di mercato; le leggi che regolamentano il settore, ad esempio, non dovrebbero essere obsolete e ma devono mirare a soddisfare le esigenze delle aziende, in particolare per i nuovi prodotti di asset digitali, permettendo loro di essere competitive sul mercato globale”
Uno degli aspetti più difficili da normare, che al contempo frena la crescita dell’industria, è ad esempio quello che riguarda le ICO; questi strumenti, infatti, espongono a grandi rischi i piccoli investitori, per cui necessitano di un quadro normativo ad hoc, ma d’altro canto una regolamentazione troppo rigida finisce per snaturarli completamente svilendone l’utilità. Le ICO sono infatti strumenti eccezionali per consentire alle piccole start up di finanziarsi, tuttavia al crescere degli adempimenti necessari per emettere una ICO in maniera legale crescono anche i costi e al crescere dei costi per l’azienda le ICO perdono gran parte della loro utilità. Le autorità finanziarie, non solo thailandesi, si trovano quindi a dover mediare tra l’esigenza di tutelare i piccoli investitori evitando al contempo di affossare il mercato istituendo un quadro normativo eccessivamente rigido; un lavoro non facile, ma che a quanto pare la SEC thailandese ha deciso di affrontare di petto; ne sapremo di più, probabilmente, nel prossimo anno, quando i nuovi emendamenti diventeranno di dominio pubblico e potremo capire se il lavoro del legislatore thailandese soddisferà le esigenze del settore e potrà essere magari preso ad esempio anche da altri paesi.
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