Il vice ministro delle Finanze Maurizio Leo ha discusso la nuova legge di Bilancio del Paese, approvata dal Consiglio dei ministri, sottolineando che in risposta alla crescente popolarità del Bitcoin è stato deciso di aumentare l’aliquota fiscale sulle plusvalenze BTC dal 26% al 42%.
Evidentemente, la decisione ha scatenato una reazione significativa sia da parte degli investitori che dei sostenitori del settore.
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In particolare, i più critici hanno sottolineato che questo approccio non solo riflette una mancanza di comprensione dell’evoluzione del settore delle criptovalute, ma rischia anche di allontanare gli investitori: con l’inasprirsi della pressione fiscale, infatti, il rischio è che gli operatori di criptovalute potrebbero cercare di trasferire altrove gli asset o di esplorare opportunità di investimento alternative in luoghi più “amichevoli” sotto il profilo fiscale, soffocando così potenzialmente l’innovazione e gli investimenti del mondo blockchain e criptovalute.
Ricordiamo che il governo italiano aveva precedentemente introdotto un’aliquota fiscale del 26% sui profitti derivanti dal trading di criptovalute nel dicembre 2022 per gli investitori che superano i guadagni di 2.000 euro all’anno. Tuttavia, le persone che guadagnano meno di questa soglia dal trading di Bitcoin o altcoin ne sono state esentate.
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C’è chi si muove in direzione opposta
Mentre l’Italia si è mossa per aumentare la sua tassa sulle criptovalute, ci sono altre nazioni che si stanno muovendo in senso opposto.
Gli Emirati Arabi Uniti (EAU), ad esempio, stanno adottando un approccio molto diverso, decidendo di esentare le transazioni di asset digitali dall’imposta sul valore aggiunto del 5%, nel tentativo di posizionarsi come una destinazione favorevole per il settore.
Secondo un documento ufficiale, il cambiamento entrerà in vigore il 15 novembre 2024 e sarà applicato retroattivamente alle transazioni risalenti al 1° gennaio 2018…
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