Il lancio da parte di binance di uno scambio decentralizzato (DEX in gergo, che sta appunto per decentralized exchange) ha scatenato l’entusiasmo di migliaia di utenti nel mondo e favorito l’hype intorno a $BNB (la cripto agganciata a questo progetto); tuttavia gli utenti più scafati avevano tentato di mettere in guardia i meno avveduti del fatto che quella piattaforma di decentralizzato non aveva proprio nulla.
DEX banna 29 paesi
Bastava del resto usare la logica per comprendere che una piattaforma realmente decentralizzata non può essere di proprietà di un’azienda; ma andiamo con ordine e facciamo il punto della situazione. Attraverso la geolocalizzazione il DEX di binance ha escluso gli utenti di 29 paesi dal proprio scambio, gli utenti colpiti sono coloro che per collegarsi alla rete usano IP riconducibili a uno dei seguenti paesi: USA, Albania, Bielorussia, Bosnia, Birmania, Repubblica Centrafricana, Repubblica Democratica del Congo, Repubblica Popolare Democratica di Corea, Costa d’Avorio, Ucraina, Croazia, Cuba, Erzegovina, Iran, Iraq, Kosovo, Libano, Liberia, Libia, Macedonia, Moldavia, Serbia, Somalia, Sudan, Sud Sudan, Siria, Venezuela, Yemen o Zimbabwe. Ovviamente nessuno può impedire a questi utenti di collegarsi usando una VPN ed aggirando così il divieto, ma la cosa rappresenterebbe un costo per molti utenti, per cui non ha molto senso soprattutto se consideriamo l’abbondanza di alternative che il mercato offre.
Cointelegraph ha prontamente interpellato l’exchange per avere informazioni in merito a questa scelta, ricevendo un bel due di picche come risposta; Binance si è trincerata dietro il silenzio, per cui a noi tocca fare delle supposizioni per tentare di interpretare questa mossa. Iniziamo col dire, come accennato, che un exchange decentralizzato non dovrebbe appartenere a nessuno per potersi definire tale, in caso contrario appare, come per binance, più una manovra di marketing che altro; il senso di un exchange decentralizzato è aggirare le norme di compliance che vengono imposte alle altre piattaforme di trading, per cui principalmente evitare agli utenti di svelare la loro identità trasmettendo i propri dati e i propri documenti, consentendo così il trading in perfetto anonimato.
La forma aziendale non è l’ideale per realizzare una piattaforma di questo tipo, proprio perché poi l’azienda diventa il punto debole della catena e il bersaglio prediletto delle istituzioni nel momento in cui dovessero decidere di dare un giro di vite alle piattaforme che non rispettano la normativa KYC. Ma questo vale in linea di massima per qualunque progetto, la forma aziendale è adatta a sostenere determinate iniziative, ma non tutte; lo stesso vale per le criptovalute stesse, una moneta come bitcoin rimane sostanzialmente incensurabile, mentre una moneta come (giusto per fare un esempio) XRP, pur avvantaggiandosi della struttura aziendale in molti modi differenti, poi si ritrova inevitabilmente a dover fare i conti con le bizze dei governi. Un exchange decentralizzato non può fondarsi su una struttura aziendale, altrimenti inevitabilmente ci troveremo di fronte a paradossi come questo di binance, che blocca l’accesso alla piattaforma ad alcuni utenti probabilmente (perché è questa l’unica ipotesi plausibile) per evitare ogni tipo di problema legale.
A questo punto sorge spontaneo chiedersi quanto tempo passerà prima che binance chieda agli utenti i loro documenti per accettarne la registrazione sul proprio, per così dire, DEX; insomma, che l’azienda sia molto intelligente sul piano del marketing, anche spacciandosi per paladina della correttezza e della trasparenza (vedi il caso del delisting di BSV) è cosa risaputa, bisognerebbe capire però quanto di certi comportamenti è dettato effettivamente da questioni di carattere etico e quanto invece è riconducibile a un freddo e cinico calcolo economico.
Tutto questo non è passato inosservato nella comunità, soprattutto agli occhi degli utenti che seguono assiduamente tutte le evoluzioni del mercato, che infatti hanno colto l’occasione per tirare qualche bordata a binance attraverso i social; insomma, questa mossa, quanto meno in termini di immagine, ha prodotto un bel danno all’azienda, per non parlare del fatto che il grosso dei volumi di trading arrivano proprio dagli USA e che chiudendo il DEX agli utenti geolocalizzati negli stati uniti la piattaforma è destinata inevitabilmente a perdere buona parte dei propri volumi, il che dovrebbe risultare visibile da subito, sempre ammesso che non decidano di taroccarli i volumi, come sistematicamente fanno (ed è risaputo) la maggior parte degli exchange centralizzati.
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