Partecipando al CC Forum 2019 (tenutosi a Londra dal 14 al 16 ottobre) nel corso di un panel che includeva, tra gli altri, alcune figure di spicco dell’industria crittografica come Brock Pierce, Bobby Lee e Tone Vays uno dei maggiori detrattori delle criptovalute a livello globale si è rimangiato parte dei luoghi comuni che aveva vomitato su bitcoin fino ad oggi; stiamo chiaramente parlando di Nouriel Roubini che nel suo intervento ha concesso alcune, piccole, aperture di credito nei confronti dell’industria blockchain riconoscendo che (forse) bitcoin potrebbe essere in un certo senso una riserva di valore. Le concessioni, in ogni caso, sono minime, Roubini ha infatti dichiarato che:
“Forse Bitcoin è una parziale riserva di valore ma non è un’unità di conto, non è un mezzo di pagamento, non è scalabile, ha perso comunque il 60% del suo valore dal picco, non credo che stia andando da nessuna parte francamente”
Considerando che fino a qualche tempo fa Roubini negava anche che bitcoin potesse mai essere considerato una riserva di valore non mi stupirei se nel giro di qualche anno facesse un’inversione ad u riconoscendo che si, magari, ecco, bitcoin è scalabile (grazie a lightning network) e se la volatilità si riducesse (come sta già accadendo) chissà che non arrivi anche ad ammettere che si, in fin dei conti può essere anche usato come unità di conto. Roubini ha poi voluto rimarcare di non essere un difensore del sistema finanziario tradizionale (e qui qualcuno più colto di me osserverebbe che “excusatio non petita accusatio manifesta”) per poi sostenere subito dopo con forza che le risposte delle banche centrali a seguito della crisi del 2008 (cioè inondare i mercati di liquidità) hanno avuto pieno successo e impedito alla grande recessione di diventare una grande depressione 2.0 (una convinzione scarsamente suffragata dai fatti, se dobbiamo dirla tutta). Il premio nobel per l’economia ha poi proseguito nella sua ormai classica invettiva contro le criptovalute affermando che l’innovazione finanziaria imminente non verrà dalle monete decentralizzate ma dall’implementazione di tecnologie come l’intelligenza artificiale, l’uso dei Big Data e di IoT nello spazio fintech, per poi scadere nel ridicolo, come non manca mai di fare, sostenendo che la tokenizzazione ci riporta alle economie di baratto e che anche i Flintstones hanno un sistema di attribuzione del valore più sofisticato rispetto alle criptovalute. Lo show, perché di questo stiamo parlando, Roubini e ormai ridotto ad essere poco più che un cattivo teatrante, si è concluso con alcuni grandi classici del pensiero (per così dire) economico dell’uomo più detestato dai bitcoiners di tutto il mondo come la convinzione che i governi affosseranno qualunque forma di pagamento anonima e che il decentramento sia solo un mito. In attesa che i governi uccidano monete come monero (e non è che non ci stiano provando) e che bitcoin degeneri in una moneta centralizzata per adesso non ci rimane che evidenziare che Roubini semplicemente si sbaglia e che forse la veemenza ostentata nel corso del panel è la dimostrazione del fatto che sta iniziando a rendersene conto anche lui.
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