Il difficile rapporto dell’Iran con bitcoin, tra sanzioni internazionali e stabilità della rete elettrica

Come abbiamo già più volte scritto in passato l’Iran viene visto come uno dei paesi migliori per l’attività di mining, dal momento che il governo eroga pesanti finanziamenti tesi a mantenere il costo dell’elettricità basso per imprese e famiglie, rendendo così l’attività di mining particolarmente profittevole; è notizia di qualche giorno fa, però, che le autorità iraniane hanno sequestrato oltre mille macchine destinate al mining bitcoin da alcuni edifici abbandonati, non si hanno attualmente notizie di arresti.

Difficile rapporto tra l’Iran e il Bitcoin

Le notizie che provengono dal paese sembrano delineare una strategia da parte dei piccoli minatori capace di rendere il mining ancora più profittevole; secondo quando si apprende dalle fonti di stampa alcuni minatori iraniani starebbero spostando la propria attività all’interno delle scuole e delle moschee, così da sgravare i costi elettrici sulla collettività e massimizzare i propri profitti. Tutto questo, ovviamente, è illegale e l’Iran si sta tentando di comprendere come porre fine a questi comportamenti; resta comunque il fatto che il paese è considerato una delle mete preferite per l’industria mineraria, tanto da attrarre capitali da ogni parte del mondo e persino dalla Cina. Le autorità iraniane sono altresì consapevoli che bitcoin e le criptovalute rappresentano una grande opportunità per le persone comuni di proteggersi dalla svalutazione della valuta fiat del paese e, al contempo, permettono anche di svincolarsi dalla morsa delle sanzioni internazionali imposte unilateralmente dagli stati uniti che, con la presidenza Trump, si sono improvvisamente tirati indietro dall’accordo sul nucleare siglato da Obama (cedendo probabilmente alle pressioni avanzate in tal senso da Israele, che da sempre considera l’Iran uno dei suoi principali nemici in medio oriente).

Le autorità iraniane, quindi, provano sentimenti duplici nei confronti di bitcoin, perché da un lato vedono nella cripto creata da Satoshi una grande opportunità, dall’altro devono preoccuparsi di garantire la continuità per il paese nell’erogazione di energia elettrica, dal momento che il proliferare delle miniere bitcoin mette a repentaglio la stabilità della rete favorendo la crescita esponenziale dei consumi. L’idea che si sta facendo largo, quindi, è quella di consentire l’attività mineraria nel paese ma stabilendo un costo dell’elettricità ad hoc per l’estrazione mineraria di modo da continuare a garantirsi l’afflusso dei capitali internazionali dell’industria blockchain, i benefici che derivano dalla diffusione di bitcoin (che come detto permette di proteggersi dalla svalutazione e di aggirare le sanzioni) rendendo al contempo meno profittevole l’attività di mining e fermando così l’aumento esponenziale dei consumi elettrici nel paese che ne deriva; alzando il costo dell’elettricità per l’industria mineraria, poi, il paese potrebbe iniziare a godere di maggiori benefici (in termini di entrate) da questa attività e tutto questo, nel complesso, finirebbe per rendere il paese uno dei più amichevoli nei confronti di bitcoin.

A dimostrazione di tutto questo c’è poi, per concludere, l’attività del legislatore; inizialmente, infatti, la Banca centrale iraniana aveva posto controlli sui movimenti di capitale verso il mercato delle criptovalute, salvo poi fare precipitosamente marcia indietro quest’anno tanto da arrivare a depositare una proposta di legge che si pone come obiettivo quello di legalizzare l’uso delle criptovalute nel paese istituendo un quadro normativo favorevole alla diffusione di questi strumenti.

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