La notizia è di quelle che segnano una svolta importante, da ora, infatti, i contribuenti americani potranno farsi pagare in bitcoin eventuali rimborsi dovuti dal fisco; a metterci lo zampino (come al solito mi verrebbe da dire) è stata un’azienda che sta facendo parlare molto di se negli ultimi tempi e cioè BitPay. Così come confermato nella giornata di martedì scorso attraverso un comunicato stampa, infatti, grazie a una partnership con Refundo (provider USA di servizi fiscali) BitPay ha messo a segno un altro colpo importante tanto per se quanto per tutto l’ecosistema delle criptovalute; d’altro canto, come affermato dallo stesso Roger Chinchilla (amministratore delegato di Refundo) includere la possibilità per i contribuenti di incassare i loro rimborsi in bitcoin era una scelta naturale dal momento che molti dei clienti non possiedono un conto corrente tradizionale e sono quindi costretti a pagare commissioni esorbitanti per incassare gli assegni.
Bitcoin usato per i rimborsi dal fisco
Ovviamente i clienti per usufruire del servizio dovranno abilitare il loro conto a questo tipo di opportunità, fornendo, tra le altre cose, i loro dati personali in ossequio alla normativa KYC e un indirizzo bitcoin; una volta che l’ufficio competente avrà disposto il pagamento interverrà BitPay, che convertirà l’importo in bitcoin e spedirà le monete all’indirizzo indicato dall’utente. Il tutto a fronte di una tariffa unica di circa 35$ cui si sommano le commissioni di BitPay che di solito si aggirano intorno all’uno percento; il servizio, inoltre, è infinitamente più veloce che non l’invio di un assegno, quindi è davvero una grande comodità per tutte quelle persone (e non sono poche) che non dispongono di un conto corrente.
BitPay, in ogni caso, non è nuova a questo genere di “colpi”, già qualche tempo fa, ad esempio, aveva collaborato con lo stato dell’Ohio per aiutarli ad accettare le tasse in bitcoin e la stessa identica cosa sta facendo con alcuni comuni canadesi coi quali ha avviato una sperimentazione della durata di un anno. Notizie come queste dimostrano quanto sia facile integrare le criptovalute anche all’interno di un’infrastruttura rigida come quella istituzionale, un sistema di pagamento elastico, caratterizzato da costi irrisori ed accessibile a chiunque; non dobbiamo infatti mai dimenticare che al mondo ci sono miliardi di persone che vengono definite “non bancabili” che cioè, per svariati motivi, si ritrovano impossibilitate ad accedere ai normali servizi bancari che tutti noi usiamo abitualmente.
Anche se mi è capitato spesso sentire qualcuno ironizzare sul fatto che non sia poi questa gran tragedia non avere un conto in banca, la verità è che non avere accesso a quegli strumenti significa essere sostanzialmente tagliati fuori, significa avere enormi difficoltà per incassare un compenso, un pagamento o anche semplicemente, come abbiamo visto, un rimborso; e non è un caso, fateci attenzione, che coloro che sostengono l’inutilità delle criptovalute siano spesso persone mediamente facoltose e che non hanno nessuna difficoltà ad accedere ai servizi bancari. Ecco, quando qualcuno vi chiederà a cosa serve bitcoin rispondetegli questo, che serve per dare accesso a servizi di tipo bancario a miliardi di persone alle quali altrimenti questa opportunità sarebbe preclusa.
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