Non è la prima volta che il mondo delle cripto viene scosso da analisi che dimostrano come un numero ristretto di persone possieda il grosso della supply circolante di una determinata moneta, di solito questi report presentano errori grossolani, dal momento che conteggiano i wallet in cui i grandi exchange custodiscono i fondi degli utenti, ma questa volta l’analisi sembra essere più attendibile; grazie al rapporto pubblicato nella giornata di ieri da Chainalysis (società specializzata in questo tipo di indagini) veniamo a sapere che sono meno di 400 (376 per la precisione) le persone che, da sole, controllano il 33% della supply circolante di ethereum. Possiamo dare per scontato che questo dato verrà strumentalizzato dai detrattori per spargere un po’ di fud, tuttavia le cose sono meno inquietanti di come sembrano; nonostante, infatti, questi soggetti detengano il grosso della supply sono responsabili di appena il 7% dei volumi relativi alle transazioni, il che vuol dire che tutti quegli ETH sono semplicemente custoditi nei rispettivi wallet (il rapporto infatti evidenzia come circa il 60% di questi 376 soggetti si limiti a detenere il proprio patrimonio e non faccia un’attività abituale di trading). Facile immaginare che questi soggetti siano entrati in possesso di tutti quegli ETH quando la moneta quotava molto meno di quanto quoti oggi e che ora li stiano spendendo un po’ alla volta campando di rendita; altrettanto probabile che molti di quei fondi siano in possesso degli sviluppatori stessi, che quindi non hanno particolari interessi ad affossare il progetto. Secondo l’analisi di Chainalysis, poi, tutta questa montagna di ethereum in possesso di poche persone non incide particolarmente sull’andamento del prezzo, nonostante in alcune occasioni sia presumibile che possano essere stati causa di alcuni dump, nel momento in cui hanno venduto grandi quantità delle monete in loro possesso. L’altro aspetto che emerge dal report e che ridimensiona gli aspetti più inquietanti di questo dato è che in realtà la situazione sembra essere in via di normalizzazione; nel 2016, infatti, le “balene” (così vengono chiamati i soggetti che dispongono di grandi quantità di una determinata moneta) possedevano il 47% della supply circolante di ETH, di conseguenza è presumibile che, da qui ai prossimi tre anni, l’attuale 33% si ridurrà ancora. L’analisi effettuata da Chainalysis, che si concentra sul triennio 2016/2019, ha anche mostrato una correlazione tra il prezzo di ETH e quello di BTC, evidenziando come, mediamente, a un aumento di un punto percentuale dei prezzi del bitcoin corrisponda un aumento dell’1,1% dei prezzi di ETH. Il report dimostra quindi che i timori per le speculazioni delle balene sull’anadamento del prezzo di ethereum sarebbero sovradimensionati, questo nonostante non si possa escludere un impatto sulle variazioni di prezzo su base giornaliera a causa di singoli eventi; in pratica, nonostante su base giornaliera le balene possano avere un impatto sul prezzo (ad esempio quando si verificano dei grossi dump) nel triennio preso in considerazione il loro impatto è stato sostanzialmente trascurabile. Il report prodotto da Chainalysis va tenuto in debita considerazione vista la rilevanza dell’azienda, che ha grande credibilità nel settore, tanto da collaborare con le forze dell’ordine quando queste necessitano di esperti per portare avanti le loro indagini nel mondo delle criptovalute; l’azienda ha inoltre comunicato di aver ampliato i propri strumenti di monitoraggio delle transazioni, proprio su richiesta delle autorità, arrivando a coprire le prime dieci criptovalute del mercato. Insomma, si tratta di una società assolutamente credibile, che opera in questo settore con professionalità e che ha prodotto un report sicuramente attendibile ma che, al netto dell’inquietudine che può provocare il sapere che pochi soggetti detengono una quota così alta della supply circolante, dimostra chiaramente come le balene non abbiano avuto quasi alcun ruolo nell’andamento del prezzo di ethereum.
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