Criptovalute: localbitcoins ha interrotto il servizio per gli utenti iraniani

Localbitcoins è uno degli scambi peer-to-peer più anziani in circolazione, con sede a Helsinki e fondato nel 2012, sta oggi facendo discutere la comunità a causa della decisione di chiudere il proprio servizio agli utenti residenti in Iran; l’azienda non ha fornito alcuna spiegazione relativamente a questa decisione, tuttavia appare scontato che dietro questa scelta ci siano le sanzioni imposte dagli USA all’Iran. La notizia aveva iniziato a circolare già ad inizio settimana, prevalentemente tra gli utenti interessati dal blocco, ci è voluto qualche giorno perché la questione assumesse rilevanza internazionale, tuttavia una volta che la voce ha iniziato a spargersi ha comprensibilmente suscitato le reazioni della comunità. Interpellati dagli utenti relativamente all’impossibilità di pubblicare nuove richieste di scambi, gli iraniani si sono visti rispondere da Localbitcoins che potranno sempre prelevare i propri bitcoin, ma non potranno più utilizzare la piattaforma per il trading.

Localbitcoins interrompe i servizi agli utenti iraniani

Nel frattempo sulla home page iraniana della piattaforma è apparso un messaggio col quale l’azienda comunica che il servizio non è disponibile nella regione; interpellato più e più volte dagli utenti Localbitcoins ha continuato a fornire risposte fumose, ribadendo però ogni volta che il servizio non è più disponibile in Iran. A rendere ancora più grave il comportamento di Localbitcoins c’è il fatto che non solo si rifiuta di fornire una motivazione chiara agli utenti, ma, da quel che si può leggere online, ha rifiutato anche di confrontarsi con CoinDesk che ha ufficialmente chiesto un’intervista che le è, però, stata negata. Ovviamente l’unico motivo plausibile per una decisione del genere è che tutto questo sia il risultato delle sanzioni imposte dagli USA all’Iran, sanzioni che però, lo ricordiamo, sono sostanzialmente unilaterali e sono state decise dagli americani senza alcun sostegno da parte della comunità internazionale; proprio alla luce di questo la scelta di Localbitcoins appare intollerabile, nonostante sia comprensibilmente il risultato di pressioni istituzionali subite dall’azienda.

E’ comprensibile che tra il perdere il mercato iraniano e perdere quello statunitense la scelta sia sostanzialmente obbligata, tuttavia localbitcoins dovrebbe adottare un comportamento orientato alla trasparenza e denunciare pubblicamente il fatto che abbia subito pressioni (cosa che è una mia supposizione, non una notizia). A rendere tutto più complicato per gli utenti iraniani il fatto che, proprio a causa delle sanzioni americane, diversi tra i maggiori exchange hanno già sospeso il servizio nel paese, per cui gli iraniani già oggi si trovano impossibilitati ad operare su scambi come Binance, Bittrex e ShapeShift. Milad Jahandar, CEO della fintech iraniana Bahamta, ha evidenziato come Localbitcoin fosse ormai una delle poche opzioni valide per i bitcoiner iraniani; la sua chiusura, afferma Jahandar, esporrà inevitabilmente gli utenti iraniani a un maggiori rischio di subire frodi nel momento in cui comprano e vendono criptovalute. Sempre il CEO di Bahamta fa poi una serie di valutazioni, che mi trovano completamente d’accordo, relative al fatto che questo genere di decisioni svilisce il senso stesso per cui è stato creato bitcoin, una rete globale che non dovrebbe conoscere confini e che nel momento in cui accetta di piegarsi alle imposizioni di un qualunque governo finisce inevitabilmente per non avere più alcun senso.

Come sempre accade in questi casi, però, le azioni di istituzioni ed aziende, tanto più quando chiaramente di carattere illiberale come in questo caso, non fanno altro che stimolare la comunità a trovare nuove soluzioni, rendendo sempre più sfuggente l’ecosistema alle regolamentazioni degli stati; le restrizioni a danno degli utenti iraniani, quindi, non stanno facendo altro che guidarli verso scambi realmente decentralizzati, regalando liquidità a queste piattaforme e permettendo loro di consolidarsi a livello internazionale. Interpellato da CoinDesk Ziya Sadr (uno degli sviluppatori più noti nella comunità) ha affermato che già oggi sono disponibili alternative a Localbitcoin che si sono dimostrate da subito una soluzione migliore per le esigenze dei cittadini iraniani; Sadr, ad esempio, cita Bisq, un’applicazione peer-to-peer decentralizzata open source che gira su Tor, non richiede KYC e permette di gestire tutte le offerte in maniera privata e anonima. Ovviamente ci sono anche realtà che hanno sfruttato quest’occasione per consolidarsi in Iran, infischiandosene beatamente delle sanzioni USA, come ad esempio lo scambio peer-to-peer KeepChange, che ha subito provveduto a rassicurare gli utenti che intende rimanere fedele alla filosofia bitcoin di resistere a qualunque tipo di censura e che si impegna ad evitere ogni interferenza di tipo governativo. Come si può leggere sul sito iraniano di KeepChange, infatti:

“Gli utenti iraniani, così come quelli di ogni altra nazionalità in qualsiasi parte del mondo, possono usare KeepChange per comprare e vendere bitcoin senza preoccuparsi di alcun tipo di censura, sanzioni, sequestri di denaro, ecc”

La mossa di localbitcoins, inevitabilmente, non è stata vista di buon occhio da larga parte della comunità che, a mio parere, è anche la parte sana di questo mondo, che è rimasta legata agli ideali originali di bitcoin, costruire una rete di pagamenti decentralizzata, fuori dal controllo dei governi, costruita dalle persone per le persone. Purtroppo nella comunità iniziano a farsi largo anche personaggi che per pura e semplice avidità non vedono l’ora di immolare tali ideali alla fregola regolamentatrice dei governi col solo scopo di consolidarsi economicamente e favorire una crescita sempre più rapida del prezzo di bitcoin; il senso di bitcoin, però, non è rendere le persone ricche ma renderle libere dall’influenza e dall’oppressione dei governi, è per questo che le criptovalute sono nate ed è per questo che sempre più persone continuano ad aderire con entusiasmo alla rivoluzione blockchain.

Se però, come sembra, a distanza di poco più di 10 anni dalla sua nascita siamo già al punto in cui la rete si piega alle sanzioni unilaterali imposte da un singolo paese, chiudendo le porte ai cittadini iraniani, allora questo è un primo sintomo che c’è qualcosa che si è incrinato in questa rivoluzione, è un sintomo che questa rivoluzione si sta normalizzando e sta venendo fagocitata dal sistema; ovviamente la partita non è ancora chiusa, gli sviluppatori, infatti, hanno ampiamente dimostrato di non voler mollare l’osso e il grande lavoro profuso nelle piattaforme di scambio decentralizzate è li a dimostrarlo. Molto presto, quindi, i DEX prenderanno il sopravvento sulle piattaforme centralizzate e gli utenti potranno tornare a scambiarsi criptovalute senza essere costretti a fornire le loro generalità e i loro documenti a un’azienda e senza soprattutto rischiare di restare isolati internazionalmente a causa dei deliri del presidente USA di turno.

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