La notizia ha iniziato a circolare in settimana, a seguito di un articolo del Financial Times che riprende il bollettino ufficiale d’Agosto dell’IRD (acronimo di Inland Revenue Department, l’ufficio delle imposte neozelandese); secondo quanto si apprende nel paese è entrata in vigore una nuova legge che permette ai dipendenti di farsi pagare i loro compensi in criptovalute. La legge pone dei paletti abbastanza rigidi, ma è comunque un enorme passo in avanti verso la diffusione di massa di questi strumenti; anzi tutto tale opportunità verrà offerta solo nell’ambito del lavoro subordinato, ne sono quindi escluse aziende e professionisti, l’importo deve essere fisso (quindi sono escluse le quote relative a premi e benefit di ogni tipo) e il pagamento può essere richiesto solo in stablecoin o comunque in criptovalute che siano facilmente scambiabili con valuta fiat. Questo, tradotto in soldoni, significa che un dipendente non può farsi pagare, ad esempio, in BTT (il nuovo token legato a BitTorrent) perché la moneta non è quotata sui principali exchange, ma può essere pagato in bitcoin, litecoin e in una qualunque delle principali cripto; il motivo di questa scelta mi pare abbastanza ovvio, non fosse così chiunque potrebbe emettere un token con valore pari sostanzialmente a zero e convincere i propri dipendenti a farsi pagare con questo strumento. Si tratta in ogni caso di un’iniziativa tesa a sperimentare l’uso delle criptovalute nel paese, per cui non è detto che tale opportunità venga prorogata ulteriormente nel tempo, per adesso sappiamo che la nuova direttiva resterà in vigore per soli tre anni a partire dal primo settembre 2019, poi, probabilmente, le autorità neozelandesi tireranno le somme di questa sperimentazione e decideranno se è il caso di proseguire oppure no. Per quanto mi riguarda, ma credo sia successo a tutti, appena ho letto di questa notizia non ho potuto fare a meno di ricordare tutte le volte che su qualche giornale mainstream ho trovato scritto che nessuno accetterebbe mai di farsi pagare in cripto, cosa che risultava palesemente falsa già qualche anno fa, quando questo luogo comune ha iniziato a diffondersi, e che lo appare ancora di più oggi che sempre più paesi mettono in cantiere disegni di legge simili a quello neozelandese. Ovviamente le persone comuni, che nulla sanno di questo mondo, non accetterebbero mai di farsi pagare in criptovalute, ma chi invece frequenta questo ambiente da anni non solo non avrebbe alcun problema a farsi pagare in bitcoin, ma preferirebbe potersi avvalere di questa opportunità. Questo risulta ancora più vero in un contesto storico come quello attuale in cui tira un vento da guerra valutaria in cui tutti i maggiori paesi si apprestano a svalutare le rispettive valute fiat, danneggiando così proprio i lavoratori salariati che si vedrebbero sostanzialmente tagliato lo stipendio, non in termini di valore nominale ma di potere d’acquisto; l’esatto contrario di quello che accadrebbe se fossero pagati in bitcoin (che invece tenderà ad apprezzarsi in questo contesto macro-economico). Sono quindi moderatamente sicuro che l’iniziativa neozelandese avrà successo e che saranno molti i lavoratori nel paese a decidere di farsi pagare in valute virtuali.

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