Criptovalute: il governo uzbeko aumenta la tassazione sull’elettricità del 300% per le mining farm

L’annuncio è arrivato nella giornata di venerdì 27 settembre, il consiglio dei ministri della Repubblica di Uzbekistan ha ordinato un aumento del 300% delle tariffe elettriche per i miners; il provvedimento fa parte di un’azione più estesa che mira a migliorare l’efficienza energetica nel paese incentivando il risparmio energetico e la produzione di energia rinnovabile. Contrariamente all’idea che ci si potrebbe fare leggendo queste poche righe il governo uzbeko, almeno in questo momento, non è un detrattore della tecnologia blockchain, anzi, è vero l’esatto contrario e nel paese si sta tentando di istituire un quadro normativo che favorisca la crescita dell’industria, basti pensare, giusto per fare un esempio, che il trading di criptovalute è stato reso esentasse, di conseguenza il paese è diventato una sorta di paradiso fiscale per i cripto-trader. Chi si dovesse aspettare un’aspra critica alla decisione di incrementare così tanto la tassazione sull’energia elettrica per i miners rimarrà deluso; trovo invece che questo tipo di provvedimento non solo abbia senso ma dovrebbe essere preso ad esempio anche da tutti gli altri paesi. Come abbiamo già scritto in numerosi altri articoli e come del resto hanno evidenziato persone ben più influenti nel mondo delle cripto di quanto non potrà mai essere il sottoscritto, infatti, oggi i miners giocano un ruolo cruciale nella transizione energetica verso le rinnovabili a livello globale; c’è un modo molto semplice di non pagare quel 300% in più di tasse sull’energia deciso dal governo uzbek ed è di prodursi da soli l’energia che serve per minare. Di modi ce ne sono tanti e la soluzione, qualora nel paese non ci fossero le condizioni per un investimento in questa direzione, è quella di delocalizzare la mining farm. In questi giorni il tema ambientale è esploso sui media di tutto il mondo, dal momento che la tecnologia blockchain ci ha promesso di cambiare radicalmente il nostro modello economico deve farsi carico pienamente di questa promessa e seguirla fino alle estreme conseguenze il che implica, tra le altre cose, che il mining non deve limitarsi a spostare l’attività estrattiva nei paesi caratterizzati da un basso costo dell’energia, deve invece puntare a coprire il 100% del proprio fabbisogno con l’auto-produzione, deve quindi diventare un’attività perfettamente sostenibile di modo da chiudere una volta e per sempre la bocca a tutti quelli che fino ad oggi hanno blaterato di bitcoin spacciandolo per una catastrofe ambientale. Si tratta di un obiettivo ampiamente alla portata, già oggi il consumo di energia delle reti blockchain deriva in larga parte da fonti rinnovabili (si stima tra il 60% e il 70% del consumo complessivo), ma possiamo e dobbiamo fare di meglio, arrivando a superare il 100% del fabbisogno di modo che le mining farm arrivino anche a restituire l’energia in eccesso alle reti nazionali, legandosi al tessuto economico dei vari paesi e rendendosi indispensabili nel quadro di una più larga politica energetica orientata alla sostenibilità. E’ una sfida sicuramente importante, ma che vale la pena di cogliere; venerdì scorso un’intera generazione di giovani è scesa in piazza a livello globale chiedendo un cambiamento radicale, è compito della comunità delle criptovalute raccogliere questa richiesta e questa sfida per dare una dimostrazione di forza e di capacità non solo a tutti quei ragazzi che venerdì sono scesi in piazza ma anche e soprattutto ai governi e ai media.

bitcoin ambiente

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