Cala l’hash rate di bitcoin, è finita la stagione delle piogge in Cina

Nonostante i media mainstream si ostinino a blaterare di catastrofe ambientale legata al mining di bitcoin (a causa dell’elevato consumo elettrico della rete) i report dimostrano che il grosso dell’industria mineraria usa energia rinnovabile e non sta provocando alcuna catastrofe ambientale; la rete della prima criptovaluta per capitalizzazione e anzianità ormai è così dipendente dalle fonti di energia rinnovabile che questo si ripercuote anche sulla potenza di calcolo che esprime. Secondo i dati diffusi da Poolin (la principale mining pool di bitcoin al mondo) l’hash rate di bitcoin ha iniziato a perdere colpi, dopo l’enorme crescita registrata negli ultimi mesi a suon di record, a seguito della fine della stagione delle piogge in Cina; ad affermarlo è Chris Zhu, co-fondatore di Poolin, con un post sui social. In pratica quello che è accaduto è che con la fine della stagione delle piogge nella provincia cinese del Sichuan le centrali idroelettriche della zona non riescono più a sostenere le mining farm che sorgono li intorno e che esprimono, da sole, quasi la metà della potenza di calcolo globale della rete bitcoin. Dal momento che la produzione energetica non riesce più a supportare l’attività delle miniere queste chiudono i battenti fino alla stagione successiva e ciò causa, inevitabilmente, un crollo dell’hash rate bitcoin; a dimostrazione del fatto che alcuni minatori si sono già disconnessi dalla rete il fatto che la potenza media di calcolo (o hashing) della rete bitcoin è scesa, nel corso dell’ultima settimana, a circa 90 exhahash al secondo (EH / s) cosa che inciderà anche sull’andamento della difficoltà di estrazione di un blocco, destinata ad un aggiustamento al ribasso di circa l’1,5%. La difficoltà di mining, lo ricordiamo, è progettata per adattarsi ogni 14 giorni circa, all’andamento della potenza di hash della rete per cui aumenta quando aumenta l’hashrate e viceversa diminuisce se l’hashrate cala. Xun Zheng, CEO di Hashage, che possiede strutture minerarie nella provincia sud-occidentale del Sichuan è intervenuto a sostegno delle tesi del co-founder di Poolin affermando che nonostante sia ancora possibile trovare fonti di approvvigionamento elettrico in zona il costo è sensibilmente più alto (da 0,04 a 0,05 dollari per chilowatt) e questo, unitamente al crollo delle quotazioni di bitcoin (nuovamente sotto i 10mila dollari) renderebbe l’attività mineraria antieconomica; il problema non riguarda solo lo Sichuan ma anche altre province cinesi, tra le quali le due più importanti per l’industria mineraria di bitcoin sono lo Xinjiang e l’Inner Mongolio. A tutto questo dobbiamo aggiungere che alcune delle attrezzature minerarie più vecchie cessano di essere produttive (a causa del consumo elettrico elevato) se le quotazioni scendono sotto i 7mila dollari, un problema che attualmente l’industria mineraria è riuscita a scampare grazie al poderoso rimbalzo dei giorni scorsi, ma che potrebbe causare un ulteriore riduzione dell’hash rate in caso di un nuovo crollo del prezzo. La cosa veramente complicata, all’interno di questo scenario, è definire come l’halving bitcoin entrerà in relazione con tutti questi altri fattori; nella primavera del prossimo anno, infatti, la ricompensa per i miners subirà un nuovo dimezzamento, scendendo a soli 6,5BTC per ogni blocco minato e rendendo quindi necessaria una nuova impennata dei prezzi affinché l’attività mineraria possa continuare ad essere remunerativa.

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