Negli ultimi anni il Bitcoin è stato protagonista di cicli di crescita e caduta spettacolari, spesso scanditi dal famoso halving quadriennale. Tuttavia, dopo il flash crash del 10 ottobre, qualcosa sembra cambiato: mentre molte criptovalute si sono letteralmente sgretolate, il Bitcoin ha mostrato una tenuta insolita, perdendo solo una frazione rispetto alle altre. Da qui nasce un nuovo dibattito: è finita l’era dei grandi crolli del Bitcoin?
La teoria che sta conquistando gli investitori
A lanciare questa idea è stato Arthur Hayes, ex CEO e co-fondatore di BitMEX, uno dei più noti exchange di derivati crypto. In un articolo pubblicato l’8 ottobre, Hayes ha spiegato che il classico schema del Bitcoin — crescita, crollo, lungo inverno e rinascita ogni quattro anni — starebbe diventando meno rilevante.
Secondo lui, l’andamento del mercato non è più dettato principalmente dal ritmo degli halving, ma dalla liquidità globale. In sostanza, i cicli del Bitcoin oggi sarebbero legati più alle decisioni delle banche centrali e alla quantità di denaro in circolazione che alla riduzione delle ricompense per i miner.
Hayes non sostiene che Bitcoin non scenderà mai più di prezzo, ma che i grandi crolli sistemici del passato potrebbero diventare molto più rari. L’espansione monetaria e la maggiore tolleranza della Federal Reserve verso un’inflazione superiore al 2% rendono sempre più probabile una crescita costante della domanda di Bitcoin come bene rifugio contro la perdita di valore delle valute tradizionali.
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Le ragioni dietro questa nuova fiducia
Oggi il Bitcoin non è più un asset marginale riservato a pochi appassionati: è entrato nei portafogli di fondi pensione, consulenti finanziari, istituzionali e investitori retail grazie ai nuovi ETF spot. Il principale ETF statunitense ha già superato i 93 miliardi di dollari di patrimonio, un record che testimonia l’interesse stabile e strutturale per l’asset.
Questa domanda costante potrebbe impedire la formazione dei “vuoti d’aria” tipici dei vecchi crolli, dove la mancanza di compratori causava cadute vertiginose.
Il flash crash del 10 ottobre è stato la prova più evidente di questo cambiamento. Mentre molte altcoin crollavano anche del 70%, Bitcoin ha limitato le perdite a circa il 7%, segno che il mercato è sostenuto da acquirenti solidi e istituzionali. In passato, eventi simili avrebbero scatenato panico e ribassi ben peggiori.
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Il ciclo quadriennale è davvero finito?
Il mito dell’halving ha dominato la narrativa del Bitcoin per oltre un decennio: ogni quattro anni, la ricompensa per i miner si dimezza, l’offerta rallenta, i prezzi esplodono e poi arriva una lunga fase ribassista.
Hayes però ritiene che questa sequenza stia perdendo forza a causa della crescente partecipazione istituzionale e dell’influenza della politica monetaria globale. In altre parole, le dinamiche di domanda e offerta non dipendono più solo dai miner, ma da un ecosistema finanziario molto più ampio.
Tuttavia, la storia invita alla cautela. Dal 2014 in poi, Bitcoin ha registrato più di una volta correzioni superiori al 50%, con picchi di oltre l’80%. Anche se i fondamentali sono più solidi, la psicologia degli investitori e gli eventi imprevisti (“cigni neri”) possono ancora innescare forti ribassi.
Il mercato crypto resta giovane e volatile: credere che la volatilità sia finita sarebbe ingenuo. Ma è realistico aspettarsi crolli meno profondi e riprese più rapide rispetto al passato.
Come comportarsi ora
Per gli investitori di lungo periodo, la strategia più prudente resta quella di non esporsi eccessivamente: allocare una parte limitata del portafoglio, usare il dollar-cost averaging (DCA) per accumulare nel tempo e non farsi spaventare da eventuali ribassi.
Il messaggio chiave è che il Bitcoin sta diventando più maturo e meno fragile, ma non immune dai rischi. I grandi crolli da -80% potrebbero appartenere al passato, ma le fluttuazioni del 30-50% restano parte integrante di un mercato in continua evoluzione.
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