A riportarlo è CCTV nella giornata di domenica, ma la notizia ha iniziato a diffondersi via social solo a partire da ieri; secondo quanto si apprende le autorità cinesi hanno sequestrato qualcosa come 7mila macchine per il mining di criptovalute; il tutto è stato il risultato di un’azione che ha portato alla perquisizione di quasi 100mila nuclei familiari, più di 3mila commercianti, incluse fabbriche, miniere e interi villaggi nel distretto di Kaiping (a Tangshan). Le indagini erano in corso da oltre un anno e riguardavano il furto di elettricità nella zona, non per niente il tutto è potuto avvenire solo grazie alla collaborazione col dipartimento di energia elettrica statale che ha monitorato i consumi nel distretto riscontrando diverse anomalie. I dispositivi sequestrati sono tutti ASIC (non è noto il produttore), i quali erano tenuti in funzione tutti i giorni ventiquattro ore al giorno, generando consumi pari a quaranta volte quelli di un normale nucleo familiare. Il fenomeno dei furti di elettricità legati al mining di criptovalute sta diventando molto comune in paesi come la Cina, l’Iran e in linea di massima ovunque il basso costo dell’elettricità abbia favorito la diffusione delle competenze necessarie per minare; il problema, comunque, anche se in maniera differente, esiste anche in occidente, dove più tipicamente invece che limitarsi a rubare l’energia si sfruttano reti aziendali o pubbliche per minare criptovalute, rubando quindi non solo l’energia ma anche la stessa potenza di calcolo.
In ogni caso questo non significa che ci sia in Cina un giro di vite nei confronti dei miners, questo genere di attività è teso a prevenire i furti di elettricità e il giro di vite è diretto alle mining farm illegali, non alle numerose attività che minano nel rispetto della legge in Cina. Dato che il principale costo di estrazione di bitcoin e delle monete pow più in generale è proprio quello dell’elettricità la tentazione di sottrarre illegalmente energia alla rete è molto forte, anche perché questo significa massimizzare i profitti; ovviamente un fenomeno di questo tipo ha qualche possibilità di passare inosservato solo fintanto che non si esagera, quando invece il furto di elettricità diventa sistemico e in una area geograficamente limitata si arrivano a installare qualcosa come 7mila ASIC non c’è alcuna possibilità che le autorità non si rendano conto del furto. Immagino che non sarà stato piacevole per le oltre 70mila famiglie coinvolte dalle perquisizioni trovarsi la polizia fuori dalla porta di casa, tuttavia non credo esistesse un modo diverso per porre fine al mining illegale nella zona; le autorità per il controllo della rete elettrica, infatti, possono facilmente notare un consumo anomalo in una certa zona ma da qui a identificare il punto esatto su cui ci si è attaccati alla rete ce ne passa e neanche poco. Considerando che il prezzo medio di un ASIC si aggira intorno ai 1500$, per concludere, parliamo di un’azione di polizia che ha portato alla confisca di dispositivi destinati al mining di criptovalute per un importo pari a più di 10mln di dollari, mentre non è noto se nel corso della stessa azione siano stati anche sequestrati wallet contenti le monete ricavate per mezzo del mining illegale.
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