Le stablecoin recentemente hanno iniziato a spuntare come funghi, se al principio la regina delle criptovalute stabili era USDT, utilizzata su tutte le principali piattaforme di trading, oggi sembra quasi che non solo ogni exchange sia in procinto di lanciare una propria stablecoin ma che addirittura interi Stati stiano iniziando a valutare questa possibilità.
Ma cosa sono le stablecoin? A cosa servono? Perché ne stanno nascendo così tante ultimamente? Perché hanno acquistato tutta questa rilevanza? A queste e ad altre domande tenteremo di trovare risposta con questo articolo, tentando di fare chiarezza e provando a definire nel modo più semplice possibile quali saranno le evoluzioni di quella che ormai in molti chiamano cripto-economia e il suo impatto sulla politica e sul bilancio dei vari paesi.
Stablecoin: in principio fu USDT
La stablecoin che chiunque conosce è Tether (USDT), anche il più novellino degli appassionati di criptovalute ne ha sentito parlare, non fosse altro perché è quella usata nel trading dalle maggiori piattaforme di scambio; ma come è nata e perché?
Sostanzialmente la necessità di avere una criptovaluta ancorata al dollaro americano (e quindi sostanzialmente stabile, con variazioni infinitesimali nel prezzo) è nata perché esisteva la necessità di eludere le stringenti normative che regolano l’attività bancaria garantendo al contempo una operatività il più possibile simile a quella dei mercati tradizionali ai trader di criptovalute.
Il mondo delle cripto, come tutti sanno, è caratterizzato da sempre da un’enorme volatilità e così i trader avevano l’esigenza di tutelarsi da eventuali crolli improvvisi attraverso una criptovaluta che replicasse in tutto e per tutto l’andamento del dollaro.
Oggi la situazione è cambiata e molte piattaforme stanno offrendo la possibilità di operare direttamente in coppia con valute fiat (Bittrex, per citarne una, ha aperto gli scambi in dollari), per cui questo sembrava a un certo punto rendere inutili le stablecoin e USDT in particolare, ma le cose, come stiamo vedendo negli ultimi tempi, non sono affatto andate così.
Tether e le infinite polemiche sugli accantonamenti in dollari
USDT è stata oggetto di infinite polemiche e accuse, tanto che a un certo punto (nei primi mesi del 2018) sembrava che fosse destinata a collassare su se stessa (cosa che però non è successa); il motivo di tutte queste polemiche sta nel white paper con cui fu presentata che assicurava agli investitori che per ogni USDT emesso ci sarebbe stato un dollaro accantonato e garantendo così la stabilità di questa stablecoin.
A un certo punto, però, hanno iniziato a susseguirsi le voci secondo le quali questo fosse sostanzialmente impossibile perché avrebbe comportato che Bitfinex (che è si una piattaforma di trading ma è anche al contempo la società che fisicamente controlla USDT anche se poi la società che li emette fisicamente è Tether Limited) dovesse avere accantonamenti per miliardi di dollari cosa che non veniva (e da molti non viene tutt’ora) considerata credibile.
Abbiamo detto che la società che controlla gli USDT è la Tether Limited (base ad Hong Kong ma con subsidiaries alle Virgin Island) ma che in realtà questa stablecoin viene comunemente considerata di proprietà di Bitfinex (l’exchange che per molto tempo ha registrato i maggiori volumi di scambi al mondo), quindi qualcuno potrebbe trovare difficile da comprendere tutto questo; perché se la società che emette gli USDT è un’altra questa stablecoin viene comunemente considerata controllata da Bitfinex? Beh, perché la Tether Limited è sostanzialmente nata da una costola di Bitfinex e infatti le due società hanno in comune lo stesso CEO (amministratore delegato in italiano) cioè Jan Ludovicus van der Velde.
Quindi USDT è sostanzialmente controllata da Bitfinex e su questo non ci piove. I timori che Bitfinex possa aver truffato gli investitori mentendo sul fatto di possedere un dollaro per ogni USDT emesso si sono via via ingigantiti per l’ambiguità della società che è sempre stata refrattaria al mostrare documenti che dimostrassero inconfutabilmente che quanto promesso nel white paper fosse vero e c’è stato un momento (nel primo trimestre 2018) in cui è sembrato che USDT dovesse collassare trascinando con se tutto il mondo delle criptovalute.
Questi timori si sono poi andati sgonfiando, USDT esiste ancora e sono emersi diversi report che sembrano (il condizionale è d’obbligo) dimostrare che per quanto la cosa sembri inverosimile Bitfinex possiede effettivamente accantonamenti pari alla quantità di USDT emessi (stiamo parlando di una montagna di soldi).
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I tre tipi esistenti di stablecoin
Senza addentrarci troppo nelle dinamiche tecniche ed economiche che sottendono ai diversi meccanismi attraverso cui si può emettere e regolare una stablecoin quello che ci interessa in questa sede è evidenziare che esistono almeno tre tipi differenti di stablecoin. Per semplificare potremmo anzi dire che esistono solo due tipi di stablecoin e cioè quelle che hanno una garanzia a monte e quelle che invece non hanno alcuna garanzia ed hanno quindi sostanzialmente natura fiduciaria.
Nel primo caso (le stablecoin che abbiamo definito “garantite”) la stabilità dei prezzi è assicurata dal fatto che queste criptovalute sono emesse in proporzione 1:1 rispetto al loro collaterale (cioè la valuta di cui replicano l’andamento), nel secondo caso invece (le stablecoin a base fiduciaria) il concetto è che la loro emissione è pensata per creare ad hoc delle tensioni ribassiste o rialziste che consentono quindi a quelle stablecoin di replicare l’andamento della valuta a cui sono agganciate.
Ma abbiamo detto che i tipi di stablecoin differenti sono tre, non solo due, com’è questa storia? Semplice, nella categoria delle stablecoin che hanno una garanzia a monte si distingue tra quelle correlate a valute fiat o ad oro, e quelle agganciate a una criptovaluta; il loro meccanismo è però identico, una stablecoin ancorata al dollaro viene emessa quindi in proporzione 1:1, per ogni stablecoin emessa c’è un dollaro accantonato.
Nelle stablecoin legate ad altre criptovalute il meccanismo è identico, una criptovaluta stabile agganciata ad esempio a bitcoin (che ne replica quindi l’andamento) viene emessa in proporzione 1:1 rispetto a BTC, per ogni coin emessa, quindi, ci sarà un bitcoin accantonato.
Lo studio del gruppo Blockchain e la situazione attuale
Qualche tempo fa la BLOCKCHAIN LUXEMBOURG S.A. ha diffuso uno studio sulle stablecoin dal quale è emerso che attualmente sono presenti sul mercato circa 57 criptovalute stabili di cui il 45% circa già disponibili sul mercato (citiamo tra le altre Tether, TrueUSD, Dai e Digix Gold) mentre la parte restante è in fase di pre-lancio e arriverà sul mercato entro la fine dell’anno (tra queste citiamo asis, Carbon, Saga, Center, Standard.One) le quali nel loro complesso raggiungono una capitalizzazione di mercato di circa 3mld di dollari pari a circa l’1,5% del marketcap complessivo di tutto l’ecosistema cripto.
Tra i vari usi che secondo questo studio le varie stablecoin potranno avere citiamo quello di essere usate come mezzo di scambio, per lo stoccaggio del valore oppure come metro di valutazione della crescita di un progetto; in realtà (come vedremo meglio nel prossimo paragrafo) le stablecoin hanno una grande rilevanza (almeno a livello potenziale) da un punto di vista prettamente politico (anche se questo tema pare avere attualmente scarsa considerazione nei maggiori osservatori).
Oltre questo lo studio del gruppo blockchain evidenzia molte cose interessanti sull’universo delle stablecoin come ad esempio il fatto che almeno la metà di queste offre dividendi o incentivi economici di altra natura e che più della metà di questi progetti sono basati negli USA (19) e in Europa (13).
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Perché le stablecoin sono così interessanti dal punto di vista politico
La principale critica che i detrattori delle criptovalute muove è che la loro enorme volatilità non le rende utilizzabili come unità di conto e quindi questo le rende inidonee a un uso concreto nell’economia reale; chi mai vorrebbe farsi pagare lo stipendio in una criptovaluta, dicono i detrattori, che magari il giorno dopo l’accredito arriva a perdere metà del proprio valore? È un’argomentazione oggettivamente forte che ha senza dubbio una sua ragion d’essere.
Ma questo problema con le stablecoin non si pone più; qual è il punto a cui voglio arrivare? Semplice, che i vantaggi delle criptovalute sono innegabili e hanno una grande rilevanza in termini politici; le cripto sono tracciabili, sono trasparenti per natura, chiunque può prendere visione delle transazioni e la quantità di cripto contenute in ogni portafoglio è di pubblico dominio.
Inoltre le transazioni hanno bassi costi, non richiedono un ente centrale di controllo, sono insomma evidentemente un sistema migliore e più intelligente di gestire il denaro se non fosse che, purtroppo, sono estremamente volatili. Che gli Stati abbiano interesse a sfruttare le qualità delle criptovalute è un fatto, che siano troppo volatili perché questo sia possibile è anche questo un fatto; a questo punto credo sia chiaro per chiunque comprendere dove voglio arrivare.
Le stablecoin consentono (per adesso in linea puramente teorica) di transitare dall’economia basata sulle valute FIAT (cioè il denaro cartaceo) a una criptoeconomia, garantendo al contempo sia di sfruttare le tante qualità delle criptovalute sia di conservare la caratteristica di unità di conto tipica delle valute FIAT.
La sensazione (ma è una mia opinione personale, che molti dei maggiori osservatori non condividerebbero) è che questo proliferare di stablecoin non sia altro che il primo segnale del passaggio epocale dall’economia tradizionale alla cripto-economia, e questo con buona pace di tutti quei detrattori che ancora oggi sostengono che le criptovalute non abbiano futuro.
Quando questo avverrà, però, e ammesso che questo avvenga sarà difficile rimettere nel cilindro da cui sono uscite tutte le altre criptovalute, quelle cioè che come Bitcoin sono realmente ed effettivamente decentralizzate; a quel punto ne vedremo delle belle e assisteremo alla guerra tra le cripto controllate dagli stati e quelle decentralizzate controllate sostanzialmente da nessuno. Chi vincerà questa guerra? È presto per dirlo, ma in ogni caso ne vedremo delle belle.
Conclusioni
Durante questo 2018 caratterizzato dal mercato orso in Bitcoin (BTC) e da enormi perdite per le maggiori altcoin che in molti casi sono crollate ben oltre il 50% dai massimi che erano riuscite a raggiungere, le stablecoin sono emerse prepotentemente e si sono conquistate la ribalta; ormai numerosi osservatori tra i più accreditati affermano pubblicamente che questo è stato l’anno delle stablecoin con gli sviluppatori che anno profuso un enorme sforzo nel lanciarle e con una capitalizzazione di mercato che già ora sfiora i tremiliardi di dollari.
Le applicazioni di questi strumenti vanno ormai oltre la semplice necessità di garantire un’operatività simile a quella sui mercati tradizionali ai trader di criptovalute e coinvolgono ampli settori dell’attività finanziaria (derivati, prestiti, e molto altro ancora), tuttavia difficilmente si può ignorare che uno degli aspetti più interessanti, e forse il più interessante di tutti, delle stablecoin è che essendo appunto stabili permetterebbero di usare la stessa tecnologia con cui è costruito bitcoin per gestire le normali transazioni di tutti i giorni apparendo così come strumenti idonei a sostituire il denaro così come lo abbiamo sempre conosciuto.
Se questo succederà e se in un prossimo futuro le stablecoin arriveranno a sostituire il denaro cartaceo e quello di plastica (gestito cioè attraverso le carte) è ancora presto per dirlo, ma appare scontato che gli interessi che spingono in questa direzione siano molteplici e che gli stati che guardano con interesse a questo tipo di soluzione sono diversi e tra di loro anche diversi colossi (non ultimi gli stati uniti).
Molti osservatori (tra cui il professor Ametrano) lamentano però la mancata trasparenza che caratterizza molti di questi progetti è l’impossibilità di verificare con certezza che effettivamente queste criptovalute vengano emesse in proporzione 1:1 con le valute fiat a cui sono agganciate; è sicuramente ancora presto per capire se veramente le stablecoin saranno in futuro così importanti come oggi pare possano essere, ma che il 2018 sia stato il loro anno questo appare essere una certezza.
Chi (come me, non ne faccio mistero) fino a pochi mesi fa ha continuato a snobbare questo settore concentrandosi solo su bitcoin e sulle maggiori altcoin, quindi, farebbe bene a tornare sui suoi passi (io lo sto facendo ormai da qualche mese) ed iniziare ad osservare più attentamente le evoluzioni e lo sviluppo di questa parte del mercato delle criptovalute.
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