LegalTech: la blockchain può diventare la soluzione alle lungaggini della giustizia, ovvero quando bitcoin irrompe nei tribunali
Se la tecnologia blockchain viene definita “disruptive” un motivo c’è ed è che si applica praticamente ad ogni campo dell’attività umana; questa parola infatti in italiano significa “dirompente” e la blockchain lo è nel senso più profondo del termine dal momento che a qualunque campo venga applicata (e può essere applicata come detto in qualunque settore) non si limita a cambiarlo ma lo rivoluziona completamente. Non fa eccezioni in questo senso l’amministrazione della giustizia che finirà anch’essa travolta dalle applicazioni correlate alla tecnologia della catena di blocchi. Anche se allo stato attuale, e soprattutto nel nostro paese, la parola blockchain viene ancora comunemente associata a ciò che viene definito “fintech” la realtà è che esiste anche un “legaltech” ampliamente ignorato nel nostro paese dai media; per capire quanto il tema sia estraneo al grande pubblico basta fare una ricerca su google, se il termine fintech restituisce in prima pagina solo risultati in italiano la parola legaltech restituisce prevalentemente risultati in lingua inglese e questo credo la dica lunga su quanto il tema sia trascurato nel nostro paese. Nei prossimi paragrafi, quindi, tenteremo di illustrare nella maniera più facile possibile quali sono le applicazioni e gli sviluppi possibili della tecnologia blockchain applicata al mondo della giustizia.
LegalTech: in principio furono gli smart contract
Che la blockchain avrebbe rivoluzionato ben più che le mere transazioni commerciali risulto immediatamente chiaro con la nascita degli smart contract; prima di spiegare per quale motivo questo apparisse inevitabile proviamo a spiegare semplicemente di cosa stiamo parlando e cosa sono gli smart contract, per farlo prendo in prestito la definizione che ne da wikipedia (alla pagina https://it.wikipedia.org/wiki/Smart_contract) e cioè “protocolli informatici che facilitano, verificano, o fanno rispettare, la negoziazione o l’esecuzione di un contratto, permettendo talvolta la parziale o la totale esclusione di una clausola contrattuale”. Già solo questo aveva delle enormi implicazioni per tutto ciò che riguardava il lavoro degli avvocati; gli smart contract azzerano le controversie e tagliano fuori quasi interamente i professionisti del settore questo per il semplice motivo che nel momento in cui si instaurano dei modelli predefiniti per la gestione di determinati rapporti (indipendentemente dalla loro natura) questi possono essere re-impiegati infinite volte. Facciamo un esempio per intenderci meglio e prendiamo il caso dei contratti di locazione; già adesso inquilini e proprietari possono sfruttare modelli pre-stampati di contratti di locazione che non richiedono quindi l’intervento di un legale, con gli smart-contract però quello che succede è che la controversia viene sanata immediatamente nel momento in cui una delle clausole non viene rispettata. Quando affittiamo una casa, ad esempio, è prassi versare una caparra di tre mesi, con gli smart contract si può fare in modo che questa caparra venga allocata in un fondo comune e che il trasferimento di denaro al proprietario si sblocchi in caso di mancato pagamento della pigione. Allo stesso tempo in sede di sottoscrizione del contratto l’inquilino potrebbe pretendere anche lui il versamento di una caparra per le spese di manutenzione straordinarie di modo che in caso al momento del bisogno il proprietario si rifiutasse di ottemperare ai propri obblighi sarebbe direttamente un algoritmo a sbloccare il trasferimento della somma a beneficio dell’inquilino. Uno smart contract potrebbe poi provvedere allo stralcio stesso del contratto qualora una o più clausole lo prevedano in particolari casi di inadempienza. Attraverso questo strumento è quindi possibile, come chiunque può facilmente immaginare, gestire in maniera abbastanza automatica un gran numero di “rapporti” differenti tra uno o più soggetti, indipendentemente che si tratti di persone fisiche o aziende, cosa che impatta con una certa violenza sul giro d’affari di uno studio legale. Tutto questo, però, come stiamo per vedere, non era solo che l’inizio.
Il legaltech rivoluziona non più solo i rapporti tra privati ma anche il modo stesso di amministrare la giustizia: il caso JUR
Anche se i nostri lettori sono abituati a una breve rassegna dei progetti più interessanti che riguardano un determinato settore in questo caso sono costretto a fare uno strappo alla regola e a limitarmi a descrivere un solo progetto; il tema è abbastanza complesso quindi per spiegarne nella maniera migliore possibile il funzionamento a livello concettuale e non rischiare di essere dispersivo nell’esposizione ho preferito attenermi strettamente al descrivere come funziona una sola delle principali piattaforme esistenti nel mondo del legaltech. JUR (qui il sito web https://jur.io/) si pone l’ambizioso obiettivo di rivoluzionare il modo in cui vengono gestite le dispute legali e lo fa sposando non solo la potenza della blockchain ma il principio stesso su cui si fonda bitcoin e cioè la potenza di una rete costruita per nodi che si basa su un determinato protocollo di consenso. L’obiettivo, come detto, è molto ambizioso e mira a consentire una risoluzione rapida (entro 24 ore) delle dispute in ambito giuridico; l’anima del progetto (neanche a dirlo) sono proprio due italiani, Alessandro Palombo e Giotto de Filippi il che non dovrebbe stupire alla luce del fatto che proprio la lentezza della giustizia civile è uno dei temi a cui noi italiani siamo (più o meno tutti) maggiormente sensibili. Attualmente nel nostro paese utilizziamo già gli ADR (acronimo inglese di Alternative Dispute Resolution) attraverso il ricorso alla mediazione, alla negoziazione e all’arbitrato nel tentativo di evitare di ingolfare i tribunali e di ridurre l’elevata litigiosità che caratterizza il nostro paese quando parliamo di giustizia. Il sistema attuale però, neanche a dirlo, pure essendosi rivelato utile per sgravare di una parte del lavoro i tribunali mostra purtroppo un’eccessiva rigidità e costi piuttosto elevati che ne limitano fortemente la diffusione. Questo sistema, quindi, non risponde perfettamente alle esigenze della società come pure non riesce a farvi fronte un normale (ma a questo punto potremmo anche definirlo banale) smart contract; anche gli smart contract sono strumenti abbastanza rigidi capaci cioè di far fronte solo ai casi espressamente previsti da chi li ha programmati. Torniamo all’esempio del contratto di locazione ed immaginiamo che a causa di una perdita dai piani superiori io abbia un problema di infiltrazione e muffa dentro casa, chi deve pagare l’intervento di riparazione? Per quanto previsto dal nostro ipotetico smart contract trattandosi di una manutenzione straordinaria l’onere ricadrebbe sul proprietario di casa il quale, però, non ha alcuna responsabilità in merito mentre, come chiunque può immaginare, spetta al proprietario dell’immobile posto al piano superiore riparare i danni che la perdita nel suo appartamento ha provocato. Uno smart contract non può gestire una situazione del genere e ne è ipotizzabile che il programmatore possa prevedere ognuno degli infiniti casi possibili mentre scrive il contratto; per risolvere tutti questi problemi interviene JUR (e le altre piattaforme simili). Questa piattaforma, infatti, non solo rappresenta un archivio in continua evoluzione di diversi modelli di smart contract (con la possibilità di aggiungerne e crearne sempre di nuovi) ma permette anche di accedere ad un sistema molto simile ai collegi arbitrari con l’intervento di terzi (chiamati oracles) che si occuperanno di risolvere le controversie. In pratica quello che succede è che i vari “oracles” presenti sulla piattaforma prendono in carico la controversia ed entro 24 ore prendono una decisione votando in favore di una delle parti; la parte che riceve la maggioranza dei consensi vince la diatriba e gli oracles che si sono espressi in supporto della parte vincente vengono ricompensati attraverso la criptovaluta nativa della piattaforma. Il concetto è molto semplice ed intuitivo, dal momento che la soluzione più equa e giuridicamente corretta è anche quella che presenta le maggiori opportunità di essere condivisa dalla maggioranza degli oracles si viene a creare un sistema in cui ognuno di questi “arbitri” è fortemente incentivato (proprio dalla ricompensa) a decidere in tal senso dal momento che sono proprio quelle decisioni ad avere maggiori probabilità di successo. In tutto questo JUR funziona anche come un vero e proprio marketplace di smart contract risolvendo quindi in questo modo sul nascere il problema di come monetizzare la piattaforma.
Nasce a Dubai il primo tribunale su blockchain
Mentre gli sviluppatori continuano a lavorare e a creare nuove applicazioni della blockchain in ogni campo sono numerosi gli stati che non restano con le mani in mano; Dubai è ormai diventata un punto di riferimento mondiale per quel che riguarda lo sviluppo di nuove tecnologie e una notizia apparsa su cryptonomist quest’estate (qui la fonte https://cryptonomist.ch/it/blockchain/dubai-blockchain/) ci spiega come proprio qui sia nata una delle primissime task force al mondo che si occupa di studiare tutte le infinite implicazioni del legaltech. Attualmente quello che si sta facendo è lavorare alla nascita della prima Corte della Blockchain al mondo, un organo che avrà lo scopo di favorire la verifica delle sentenze giudiziarie che riguardano progetti legati a blockchain, anche per applicazioni transfrontaliere. Ma gli obiettivi di lungo termine di questo “laboratorio” nato a Dubai sono ben più ambiziosi e interessanti, lo scopo finale, infatti, è quello fondare l’intero sistema giudiziario sulla blockchain semplificando i processi e migliorando l’efficienza dei tribunali anzi tutto eliminando il problema dalla duplicazione dei documenti che oltre a minare l’efficienza della giustizia rallentandola notevolmente rappresenta anche un costo di cui ogni paese farebbe volentieri a meno. Lo scopo è inoltre, un po’ come abbiamo visto nel caso di JUR, rendere meno rigida l’esecuzione degli smart contract (che sono sostanzialmente irrevocabili) facilitando la gestione delle eccezioni e la revoca di determinati “provvedimenti” che gli algoritmi sono programmati per prendere automaticamente.
Conclusioni
Come in molti altri settori anche in quello della giustizia la blockchain ha fatto irruzione negli ultimi anni dimostrando al di sopra di ogni possibile dubbio come esista la possibilità di strutturare un modello più efficiente, rapido e funzionale di quello attuale; come anche nel campo del fintech anche quando parliamo di legaltech occorre capire che, nonostante bitcoin esista ormai da dieci anni, siamo ancora agli inizi della “rivoluzione” e questa tecnologia ha appena iniziato a mostrare tutte le sue potenzialità. Tuttavia lo sviluppo tecnologico si muove oramai in maniera così veloce che è impensabile allo stato attuale delle cose credere che nei prossimi dieci anni non assisteremo a un cambiamento totale della gestione dei più diversi campi dell’attività umana che rivoluzionerà completamente il nostro modo di relazionarci agli altri. In questo articolo abbiamo inoltre compreso quanto sia importante la “ricompensa” per il corretto funzionamento della maggior parte delle diverse applicazioni della blockchain e come senza criptovalute native sia impossibile immaginare che le varie piattaforme possano gestire la loro attività. Un progetto come JUR, in altre parole, non starebbe in piedi senza una criptovaluta nativa e questo manda a farsi benedire sia i tanti critici di bitcoin (che sostengono che le cripto siano un fenomeno puramente speculativo senza alcuna applicazione concreta nella realtà) sia le posizioni dei troppi massimalisti (che al contrario sostengono che nel medio-lungo periodo tutte le altcoin siano destinate a morire e che solo bitcoin riuscirà a sopravvivere). La verità, che appare semplicissima da vedere a un osservatore attento e onesto intellettualmente, è che nei prossimi anni assisteremo a un’ulteriore proliferazione di progetti blockchain con relative criptovalute agganciate e che tutto questo ormai non può essere fermato in alcun modo ne dai governi ne dalla speculazione stessa; siamo cioè sostanzialmente in presenza di interessi convergenti in questo senso, ed appare ormai assolutamente evidente come tanto le grandi aziende quanto le persone comuni stiano ormai iniziando a spingere fortemente per un’adozione di massa di questa tecnologia.
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