Starbucks investe nella blockchain per tracciare la filiera di approvvigionamento del caffè

Non è passato molto tempo da quando Starbucks ha deciso di consentire il pagamento dei propri prodotti in bitcoin, finendo così per farsi una grossa pubblicità (gratuita) nel mondo dei bitcoiners; nella giornata di ieri le è bastato un comunicato stampa per ripetere il successo che aveva avuto l’ultima volta. Ha fatto rapidamente il giro del mondo la notizia per cui la più grande caffetteria in franchising al mondo (perché di questo stiamo parlando) ha scelto di puntare sulla tecnologia blockchain per offrire ai propri clienti maggiori e più accurate informazioni sui propri prodotti e sulla propria filiera. Per farlo ha scelto di collaborare con microsoft, usando il servizio Azure Blockchain per monitorare le spedizioni di caffè da tutto il mondo. La possibilità di utilizzare la blockchain per tracciare la filiera alimentare, però, divide la comunità degli appassionati di crittografia, tra coloro che reputano la cosa sostanzialmente impossibile, come ad esempio il professor Ferdinando Ametrano dell’università degli studi di Milano Bicocca (uno dei massimi esperti di blockchain in Italia) che in diverse occasioni ha bollato queste iniziative come semplici manovre di marketing, e chi invece, come il sottoscritto (più modestamente) ritiene che questa sia una delle opportunità offerte da questa tecnologia. Intendiamoci, non credo affatto che sia una cosa semplice da realizzare, ma non la giudico impossibile; ho scritto in più occasioni che per realizzare un’infrastruttura del genere è necessario fondere le potenzialità della blockchain a quelle espresse dalla tecnologia IOT, senza questo ottenere dei dati attendibili da registrare sulla blockchain diventa molto complicato. Tornando a Starbucks quello che la multinazionale intende fare è usare il servizio di blockchain gestita di microsoft per tracciare su un libro mastro condiviso tutti gli spostamenti che il caffè fa nella catena di approvvigionamento; all’utile, ovviamente, si intende associare il dilettevole, sfruttando l’occasione per fornire ai clienti maggiori informazioni sui luoghi in cui il caffè viene raccolto e sui metodi di tostatura, il tutto corredato da note informative sulla degustazione consultabili dai clienti per mezzo di un’app. Michelle Burns, vicepresidente senior di Global Coffee & Tea presso Starbucks, ha dichiarato pubblicamente che questa mossa va contestualizzata all’interno di un impegno più grande da parte dell’azienda per ciò che ha definito “approvvigionamento etico”; in pratica la multinazionale americana desidera non solo tutelare se stessa rispetto all’eticità del modo in cui il caffè che rivende in giro per il mondo viene prodotto (a nessuna azienda di questo calibro fa piacere l’idea di finire sulle prime pagine dei giornali per un’accusa di sfruttamento) ma vuole tentare anche di supportare gli agricoltori fornendo loro dati e conoscenza per sostenerli nella loro attività e aiutarli a migliorare la qualità e la quantità della loro produzione. L’azienda starebbe inoltre attualmente parlando con i coltivatori di caffè in Costa Rica, in Colombia e in Ruanda per garantire a tutte le parti in causa il massimo beneficio da questo tipo di iniziativa. Bello vero? Certamente, o almeno lo è se credete che i soldi crescano sugli alberi, dal cielo piovano tartufi da mezzo chilo e dalle fontane zampilli il chianti. Al netto del sarcasmo, parliamoci chiaro, per quanto io sia convinto dell’utilità della blockchain per tracciare la filiera alimentare non sono così fanatico da non tenere in debito conto le posizioni del professor Ametrano; certi toni così entusiasti, soprattutto quando provengono da una grande multinazionale, vanno sempre presi con le pinze. Questa è chiaramente una manovra di marketing, i toni usati dall’azienda, il risalto dato alla dimensione etica dell’iniziativa, sono li a dimostrarlo chiaramente; il fatto poi che non sia ancora stata diffusa una data di rilascio della app che dovrebbe permettere ai clienti di accedere a tutte queste informazioni la dice lunga su quanta attenzione sia necessaria nel prendere per buono tutto ciò che un’azienda comunica a mezzo stampa. Per intanto a Starbucks è bastato un comunicato per farsi un’enorme pubblicità, il che dimostra quanto, almeno sotto il profilo del marketing, questa azienda ci sappia fare; prima di scatenare il nostro entusiasmo, però, è preferibile attendere che quanto promesso si trasformi in realtà, di modo che gli sviluppatori indipendenti possano dare un’occhiata al codice e farci sapere se davvero il progetto di Starbucks rispetta le aspettative o se non si tratta invece dell’ennesima, abilissima, manovra di marketing. Non basta, in altre parole, registrare dati su un libro mastro distribuito per chiudere la questione; come ci viene garantito che quei dati siano veri? Quali garanzie abbiamo che i dati registrati non vengano precedentemente manipolati? Sono questi gli aspetti veramente rilevanti quando si parla di tracciare una filiera attraverso una blockchain; è questo che intende (se ho correttamente interpretato il suo pensiero) il professor Ametrano quando dice che questo genere di iniziative servono solo a farsi pubblicità. Prendiamo quindi atto, questo si, della volontà espressa da Starbucks di investire in questa tecnologia per migliorare la trasparenza ed offrire maggiori informazioni ai propri clienti, prima però di parlare di svolta epocale (come alcuni siti del settore hanno fatto) meglio attendere che venga diffuso un prodotto reale, di modo da poter studiare da vicino come funziona. Se Starbucks avrà rispettato le aspettative saremo lieti di dire che questa volta davvero sono piovuti dal cielo tartufi da mezzo chilo, fino ad allora, però, meglio restare con i piedi per terra e considerare tutto questo per ciò che sembra essere, un’abile manovra pubblicitaria e niente di più.

Starbucks blockchain

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