Quanti tipi di criptovalute ci sono? Più di quante immagineresti

Gli appassionati di cripto sanno molto bene che esiste una tendenza generalizzata a definire qualunque valuta virtuale costruita sulla base della crittografia come “criptovaluta”, ma sa anche altrettanto bene quanto questa tendenza sia fuorviante; un neofita, invece, è vittima sacrificale di tale tendenza e prima di approdare a una conoscenza più approfondita del tema finisce col metterci anni anche in virtù di questo genere di equivoci.

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Quante criptovalute esistono?

Le criptovalute, in altre parole, non sono tutte uguali ed esistono anzi molti tipi diversi di cripto in circolazione; la prima distinzione, che è anche la più banale, che occorre fare riguarda la differenza tra criptovalute propriamente dette e i token. Mentre i token, come abbiamo già avuto modo di spiegare in numerosi altri articoli, non hanno ne una propria rete di nodi ne una propria blockchain (ma usano quelle messe a disposizione da altri progetti), una criptovaluta propriamente detta ha una rete di nodi e una propria blockchain. Oltre a questa distinzione dovremmo poi distinguere, per quanto riguarda i token, quelle monete che potremmo definire di servizio da quelle che invece sono semplici mezzi di pagamento alternativi e da quelle, ancora diverse, che si comportano sostanzialmente come delle obbligazioni; il tipico esempio di token, per così dire, di servizio, sono quelli creati dalle società di calcio, per mezzo dei quali è possibile acquistare biglietti e merchandising.

Vi sono poi dei token che hanno l’ambizione di diventare delle vere e proprie valute, dei mezzi di pagamento per il mondo di internet, come nel caso di BAT, il cui scopo è proprio quello di diventare la moneta che regolerà le transazioni tra i creatori di contenuti e il mondo della pubblicità, divenendo in un certo senso l’unità di misura del prodotto digitale. Vi è poi invece il caso della tokenizzazione, come ad esempio nel caso del mercato immobiliare; in questo caso, quindi, il token si comporta come una sorta di obbligazione, garantendo un certo utile in un certo periodo di tempo. Si può poi ancora distinguere tra monete decentralizzate e monete centralizzate, o tra monete permissionless e permissioned che dir si voglia; la differenza sta, sostanzialmente, nel fatto che nel primo caso (monete permissionless, come nel caso di bitcoin) abbiamo un’infrastruttura pubblica, priva di gerarchie e senza restrizioni di sorta all’accesso, nel secondo caso (monete permissioned, tra le quali potremmo citare libra, visto che la moneta di facebook ha attirato tanta attenzione a livello mediatico) l’infrastruttura è caratterizzata dalla presenza di una o più autorità centrali.

Tutte queste differenze, che agli occhi di un neofita possono apparire di poco conto, sono in realtà differenze sostanziali; riferirsi a qualunque moneta crittografica usando un termine generico come “criptovaluta” è sostanzialmente una semplificazione. La cosa, inoltre, ha una enorme rilevanza perché in assenza di un’adeguata terminologia il rischio concreto è di non riuscire a dare vita a un quadro normativo adeguato alle esigenze dell’industria; sul piano dei regolamenti, infatti, è semplicemente folle pensare di poter scrivere delle norme che possano regolare in maniera adeguata sia il mercato dei token che quello delle cripto, sia le monete permissionless che quelle permissioned.

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