Criptovalute: la blockchain da catastrofe ambientale a strumento per salvarci dal cambiamento climatico

Presto, di corsa, qualcuno avvisi Beppe Scienza! Contattate la redazione del fatto quotidiano, fate rettificare gli articoli pubblicati; che figura, ragazzi, che figura! Al netto degli sproloqui di un vecchio bitcoiners (chi ha iniziato a interessarsi di questa tecnologia solo di recente probabilmente non avrà la minima idea di cosa stia parlando) questo articolo ha bisogno di una premessa e la premessa e che mi sto rotolando dalle risate nello scriverlo; ma andiamo con ordine ed evitiamo di fare confusione.

Catastrofe ambientale per la blockchain?

Arriva oggi dalla Germania una notizia che dimostra come i nostri maggiori giornali abbiano passato gli ultimi anni a rifilarci chiacchiere (cosa a cui dovremmo iniziare ad abituarci) su una presunta catastrofe ambientale che sarebbe provocata dall’adesione di massa a livello globale a bitcoin; BTC è energivoro, ci hanno spiegato, e se tutti lo usassimo consumeremmo tutta l’energia elettrica disponibile nell’universo nel giro di un paio d’ore, immettendo tanta di quella CO2 nell’atmosfera da far impennare la temperatura globale di 200° nel giro di una mezz’oretta diventando come tanti biscotti messi in forno.

Personalmente non saprei dire quali siano i tempi di cottura di un essere umano ma conosco molto bene i tempi necessari a sbugiardare le bufale pubblicate dai giornali; di norma bastano un paio d’anni. Mentre nel nostro paese continuano imperterriti a rifilarci questa bufala della catastrofe ambientale provocata dalla blockchain (mentre si dimenticano di occuparsi dell’inquinamento delle grandi fabbriche, quello si, una vera catastrofe ambientale) ecco che dalla Germania ci arriva la notizia che proprio attraverso l’emissione di una criptovaluta si intende tentare di porre un freno al riscaldamento globale.

Del resto noi stessi di ValuteVirtuali avevamo tentato di spiegare in numerose diverse occasioni che la tecnologia blockchain poteva essere uno strumento importante per l’ambientalismo ma, devo ammetterlo, all’idea dei tedeschi non ci avevamo pensato nemmeno di striscio; che cosa si sono inventati questa volta i nostri amici crucchi? Un’idea che, come tutte le buone idee, è tanto semplice quanto innovativa e rivoluzionaria, emettere una criptovaluta per ricompensare chi preleva la CO2 dall’atmosfera. Sono onesto, appena ho letto l’articolo pubblicato su Welt mi sono detto che ormai non sanno più cosa inventarsi per truffare la gente; riprendere la CO2 dall’atmosfera? Andiamo, ma che pagliacciata è mai questa? Invece, sin dalla lettura delle prime righe dell’articolo mi sono reso conto di quanto valida, strutturata ed efficacie sia questa idea che, tra le altre cose, gode di appoggi istituzionali non indifferenti (a proporla è infatti il partito democratico tedesco).

A trarmi in inganno la mia stessa ignoranza, c’è infatti una cosa che non sapevo, probabilmente perché per quanto tenti di informarmi i giornali italiani, troppo impegnati evidentemente a denunciare la catastrofe ambientale di bitcoin, non ne hanno mai parlato; sono state proprio le nazioni unite ad affermare che ridurre le emissioni è sostanzialmente inutile ormai e che dovremmo invece pensare a come riprendere dall’atmosfera tutta la CO2 in eccesso che abbiamo rilasciato negli ultimi decenni. A ben pensarci, effettivamente, mi son detto, gli alberi per vivere respirano CO2 ed emettono ossigeno, di conseguenza non è così ridicolo pensare di prelevare questo gas serra dall’atmosfera, basterebbe iniziare a piantare alberi; ed infatti è anche ciò che si son detti i democratici tedeschi che hanno pensato a una criptovaluta che, non per caso, si chiamerebbe Arbil (dall’etimo arbor, che in latino significa appunto albero). Ed indovinate su quale moneta si baserebbe questa nuova criptovaluta per funzionare? Ma naturalmente su bitcoin, che domanda.

Essendo, però, il sottoscritto un criticone di natura ho subito pensato che per quanto l’idea fosse interessante una moneta del genere non avrebbe alcun valore e si rivelerebbe sostanzialmente inutile; come si può mai pensare, del resto, di ricompensare qualcuno con una moneta che non ha alcun valore, non sta in piedi, è una bella idea ma non sta in piedi. Ed anche qui mi sbagliavo! Arbil un valore ce lo avrebbe ed anche garantito da un bene reale; la principale misura adottata dall’Unione Europea per adempiere agli impegni presi ratificando il protocollo di Kyoto è infatti la Direttiva 2003/87/CE sull’ Emission Trading Scheme (ETS), che istituisce a livello comunitario un sistema per lo scambio di quote di emissione di CO2, denominate EUA (EU Allowances).

In pratica questi certificati, il cui valore sta aumentando perché c’è una forte domanda ad accaparrarsi il diritto di poter inquinare a norma di legge, sanciscono quanta CO2 una determinata azienda può liberare in atmosfera; il valore di Arbil, quindi, sarebbe agganciato a questi certificati, un po’ come avviene con le stablecoin con la differenza che, essendo molto alta la domanda sui mercati, in questo caso il prezzo tenderebbe a crescere.

Non si tratta, poi, solo di ripagare per mezzo di questa nuova criptovaluta chi pianta degli alberi, fosse così il potenziale enorme di questa idea ne sarebbe ridimensionato, ma di finanziare la nascita di una vera e propria industria ambientalista; potrebbero infatti nascere degli stabilimenti il cui core-business sarebbe aspirare l’aria, farla transitare per dei filtri anti CO2 (gli stessi che si usano ad esempio nello spazio) e creare degli impianti di stoccaggio sotterranei per i gas serra. Insomma, si verrebbe a creare tutta una nuova industria che, in diversi modi, si occuperebbe di riprendere la CO2 in eccesso rilasciata nell’atmosfera, un mercato sostenuto dai certificati sulla CO2 la cui finalità non sarebbe più quindi quella di definire meramente il diritto di inquinare legalmente; bitcoin, quindi, passa da essere una catastrofe ambientale a un’arma contro il riscaldamento globale, qualcuno si prenda la briga di informare l’informazione.

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