Un articolo pubblicato da forbes qualche giorno fa ha suscitato l’ilarità della comunità non appena ha iniziato a circolare sui social, nella giornata di ieri, finendo inevitabilmente per generare un grande engagement anche se non particolarmente positivo, viste le reazioni; l’articolo afferma, provocatoriamente, che l’avvento dei FAANG (acronimo che identifica le grandi aziende tecnologiche e che sta per Facebook, Apple, Amazon, Netflix e Google) nei servizi di pagamento finirà inevitabilmente per uccidere Bitcoin. Iniziamo subito col dire che molte di queste aziende, che oggi sembrano colossi, non attraversa in realtà un momento particolarmente positivo; Facebook perde quote di mercato tra gli utenti più giovani e sembra destinata a un lento declino, Apple soffre la crescita dei colossi asiatici e dopo la morte di Jobs sembra anche lei destinata a scivolare nel dimenticatoio (fu proprio Jobs a riportare in auge l’azienda dopo essere stato messo da parte), Netflix si troverà presto a dover competere direttamente coi produttori (come Disney) che stanno per irrompere nel suo mercato con una serie di servizi rivolti direttamente al mondo web, Google ormai da anni inanella solo fallimenti (vedi google plus, google glass e ora vedremo che fine farà Stadia) mentre per Amazon vale quanto detto per Netflix, i produttori presto capiranno che conviene sviluppare e-commerce di proprietà, come dimostra la recente scelta di Nike di abbandonare la piattaforma creata da Bezos.

Insomma, i giganti della tecnologia ad un occhio attento sembrano iniziare a vacillare, la scelta di diversificare il più possibile la propria offerta andando a presidiare segmenti di mercato che non fanno parte del loro core business è li a certificarlo. Prima che competere con Bitcoin, poi, servizi come Facebook Pay e Google Cache dovranno competere con PayPal e non è affatto scontato che riescano a vincere la sfida. Per quanto riguarda poi il servizio annunciato da Google verrà gestito in partnership con Citigroup e questo pone una serie di grossi problemi in termini di fiducia; se già oggi gli utenti non si fidano più di Google per il modo in cui tratta i loro dati riservati, ancora meno si fidano di Citigroup, una delle banche maggiormente coinvolta nella crisi del 2008. Senza entrare troppo nel merito delle risposte che hanno dato alcune figure di spicco del mondo delle criptovalute, cosa che hanno già fatto differenti siti del settore riportando i tweet di persone del calibro di Stephen Cole e Vitalik Buterin, quello che ci preme evidenziare è che i servizi di pagamento implementati dai FAANG presidiano un mercato completamente differente da quello di bitcoin; intanto tutti questi servizi contemplano, a differenza di BTC, l’esigenza di avere degli intermediari, oltre che la necessità di inviare i propri documenti con conseguenti rischi per la privacy, da un lato, e impossibilità di accedere al servizio per chi proprio non dispone dei documenti necessari, dall’altro, mentre mancano del tutto quelle caratteristiche che hanno reso bitcoin forte e cioè proteggere il denaro degli utenti dall’inflazione (almeno nel lungo periodo e al netto della volatilità) ed essere incensurabile. Del resto se il problema fosse solo di gestire i pagamenti via internet bitcoin non sarebbe dovuto proprio nascere o comunque non avrebbe dovuto trovare spazio visto che nel 2008 esisteva già PayPal e praticamente tutte le banche avevano già i loro servizi HomeBanking attivi; se Bitcoin è riuscito a farsi spazio nonostante l’esistenza di PayPal, Skrill e tutti gli altri servizi di pagamento simili è proprio perché con questi servizi non condivide quasi nulla. Da qui la grande ilarità suscitata dall’articolo pubblicato da Forbes, che potrà forse convincere chi conosce le criptovalute solo per sentito dire ma non può che suscitare sarcasmo in tutti coloro che sanno bene di cosa stiamo parlando.

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