Australia: indagato un funzionario pubblico per aver minato bitcoin

Che l’Australia non sia esattamente uno dei paesi più cripto-friendly al mondo è cosa abbastanza risaputa, in questo caso tuttavia c’entra poco la simpatia e l’antipatia per bitcoin; un funzionario del governo di trentatre anni, che si occupa di gestire i servizi IT del sobborgo di Killara a Sydney è stato indagato per aver modificato i sistemi informatici del governo con l’intento di minare criptovaluta. Non sono note le generalità dell’uomo, mentre è conosciuto il capo di imputazione per cui finirà sotto processo e precisamente, secondo le norme in vigore nel paese, “modifica non autorizzata dei dati per causare menomazioni e modifiche di dati riservati”; citando un vecchio film di Benigni mi verrebbe da dire che “qui si va sul penale”. L’uomo rischia adesso una pena che va da un minimo di due a un massimo di dieci anni di carcere; che non sia mai una buona idea sfruttare l’infrastruttura del tuo posto di lavoro per minare bitcoin dovrebbe essere cosa nota, se poi il tuo datore di lavoro è il governo allora probabilmente potresti trovare nell’infermità mentale una buona linea di difesa in sede processuale (scherzo, ma neanche troppo). In un recente confronto con la stampa Chris Goldsmid (responsabile delle indagini per crimini informatici presso la polizia federale australiana) ha ribadito che quello commesso dall’uomo è un reato molto grave, mettendo in guardia qualunque altro genio del male volesse tentare di emulare le epiche imprese del trentatreenne dichiarando che:

ico truffa

“I contribuenti australiani si affidano a funzionari pubblici per svolgere ruoli vitali per la nostra comunità con la massima integrità. Qualsiasi presunta condotta criminale che tradisca questa fiducia per guadagno personale sarà indagata e perseguita ”

Non è la prima volta che qualcuno tenta di utilizzare un’infrastruttura governativa per minare criptovaluta sul posto di lavoro, alla storia passerà, ad esempio, un altro genio del crimine che nel 2017 aveva avuto la brillante idea di usare un server di proprietà della FED (di cui era dipendente) per investire in bitcoin; multa di 5mila dollari, licenziato in tronco e messo in libertà vigilata (non esattamente un affare). Fatti del genere (anche se meno eclatanti) sono successi un po’ ovunque, in Russia, ad esempio, in Cina e in Venezuela. Una truffa molto comune, e probabilmente più intelligente che usare un’infrastruttura aziendale per fare mining, riguarda il furto di elettricità che viene poi impiegata in attività di mining. Insomma, non siamo più agli albori di questa tecnologia quando si poteva ancora sperare di tentare azioni così proditorie e farla franca, oggi non solo le possibilità di essere scoperti sono molto alte, ma a fronte delle pene che si rischiano non ne vale, sinceramente, neanche la pena. Come detto in apertura di questo articolo, quindi, qui non è questione di simpatia o antipatia di un governo verso le cripto, chiunque usasse infrastrutture governative per interessi privati subirebbe gli stessi capi d’imputazione; resta al massimo da chiedersi cosa abbia in testa certa gente per rischiare di rovinarsi la vita in questo modo, ma la domanda è retorica e la risposta è banale, nulla, nella testa questa gente ha il nulla.

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