Negli ultimi anni si sono moltiplicati i casi di aggressioni e tentativi di rapina ai danni dei bitcoiners, l’ultimo caso è avvenuto in Norvegia ed è stato riportato da cointelegraph proprio oggi; il tentativo di rapina è avvenuto in realtà a maggio ma la notizia è emersa solo in questi giorni con l’avvio del processo.
Aumentano le aggressioni contro i bitcoiners
Il caso segue di poche settimane un altro fatto di cronaca che ha scioccato la comunità e che è avvenuto invece nello stato indiano del Kerala dove un uomo è stato torturato e ucciso perché considerato coinvolto in una truffa che avrebbe bruciato complessivamente una sessantina di milioni di dollari. C’è un filo rosso che lega questi due episodi apparentemente così dissimili tra loro e che è rappresentato dal ruolo giocato dai media e dal giornalismo; entrambe le vittime, infatti, avevano avuto grande visibilità sui media locali e i loro nomi erano stati diffusi in diverse occasioni a mezzo stampa. Purtroppo occorre prendere atto che il giornalismo o non si rende conto dei danni che produce lavorando in un certo modo o proprio se ne infischia bellamente; quando parliamo di cripto, infatti, non parliamo di valuta fiat, ci sono enormi differenze tra un milionario “normale” e un milionario bitcoiner, la prima, e la più rilevante per ciò di cui stiamo parlando, è che mentre il milionario, per così dire, classico i soldi li tiene in banca il bitcoiner li custodisce in casa.
Sui computer e sugli hardware wallet dei bitcoiners possono essere custoditi milioni di dollari e questi dispositivi vengono normalmente custoditi in casa; è pericoloso diffondere e rendere di pubblico dominio i nomi di queste persone perché significa esporle a tentativi di rapina e a violenze di ogni tipo. Non è infatti un caso che moltissimi bitcoiners sui social preferiscano ricorrere all’anonimato invece che presentarsi con nome e cognome; a quanto pare però i giornalisti non sembrano interessati agli effetti che il loro lavoro produce nella realtà e continuano a comportarsi come se nulla fosse.
Nel caso del bitcoiners ucciso e torturato in India, ad esempio, il processo non era ancora partito e non c’era alcuna prova concreta del suo reale coinvolgimento nella truffa, di conseguenza condividendo il suo nome e cognome sui giornali i media l’hanno dato in pasto ai suoi carnefici, diventando nei fatti corresponsabili del delitto. Chi frequenta i social sa bene che molti bitcoiners (ovviamente quelli più facoltosi, perché poi il grosso della comunità non si compone certo di milionari) considerano il problema molto rilevante ed è comune che decidano di prendere il porto d’armi consapevoli del fatto che questo sia l’unico modo per difendere se stessi e le proprie famiglie.
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