Bitcoin: i computer quantistici non mettono a rischio la crittografia che protegge le reti blockchain, ecco perché

Negli ultimi giorni ha suscitato scalpore, nel mondo degli appassionati di tecnologia, l’annuncio fatto da google di aver conquistato la “supremazia quantistica”; ovviamente, dato che quasi nessuno conosce il tema, la cosa è stata colta al balzo per sostenere che bitcoin non è sicuro e che l’era delle criptovalute è finita per sempre. A parte l’idiozia insita in questo tipo di affermazione, se si potesse violare la crittografia di bitcoin sarebbe la morte proprio di internet non solo delle criptovalute, proviamo a fare un po’ di chiarezza sulla questione; intanto, come stavamo appunto accennando, se la crittografia bitcoin non fosse sicura cesserebbe di esserlo anche quella che protegge, ad esempio, l’infrastruttura informatica dei militari, per non parlare di quale fine farebbero i nostri account mail, o i conti homebanking, insomma, sarebbe l’ecatombe dei servizi web oriented. Già solo questa prima considerazione dovrebbe rendere facilmente l’idea di quanto demenziali siano certe affermazioni che, ovviamente, sono finite in decine di articoli di giornali e siti mainstream; inoltre qui è il caso di spiegare, visto che ovviamente il concetto sembra essere estraneo a tutti, che i computer quantistici non sono semplici computer che però usano le applicazioni della quantistica per funzionare. Quello che intendo è che tutto, letteralmente tutto, su un computer quantistico funziona in maniera differente rispetto ai computer cui siamo abituati, il linguaggio macchina, il modo di implementare i calcoli, scordatevi, in altre parole, di poter installare il vostro sistema operativo su una macchina del genere semplicemente perché quel sistema operativo non è stato scritto per funzionare su un computer quantistico. Questo ha chiaramente una serie di implicazioni, la prima e più banale è che, anche volendo, non si potrebbe certo installare bitcoin core su un computer quantistico e lanciare un nodo; l’altra cosa che il giornalismo mainstream (e conseguentemente chi gli va dietro) non sembra aver capito è che i computer quantistici esistevano già, semplicemente il concetto di “supremazia” significa che google avrebbe (il condizionale è d’obbligo, vedremo poi perché) sviluppato il computer quantistico più potente al mondo. La potenza di queste macchine si misura in qbit, google ha dichiarato di avere una macchina da 65qbit, ma in molti hanno sollevato dubbi in proposito, capace di sviluppare in pochi minuti calcoli che un computer normale impiegherebbe 10mila anni ad eseguire; wow, si è detto l’occhialuto giornalista mainstream, questa è la fine di bitcoin! Peccato solo che l’occhialuto giornalista mainstream, chiuso nel suo studiolo a battere a macchina, ignori che per forzare la crittografia di bitcoin non bastano 65qbit ma ce ne vorrebbero 6500, cioè 100 volte di più. Qualcuno, credendosi certo molto brillante, sarà subito pronto ad affermare che, beh, se adesso abbiamo un sistema da 65qbit presto ne avremo uno da 6500; no, non è affatto così scontato, anzi, probabilmente la cosa avrebbe costi così esorbitanti e praticamente zero applicazioni da essere semplicemente antieconomica. Come dichiarato poi da Dario Gil, direttore dell’Ibm Research di Zurigo, in una recente intervista rilasciata ad AGI:

“I computer quantistici non sono ‘supremi’ rispetto ai computer classici in virtù di un esperimento di laboratorio progettato essenzialmente, ed esclusivamente, per implementare una procedura di campionamento quantistico molto specifica senza applicazioni pratiche”

In un altro passaggio sempre Gil spiega che il futuro, con ogni probabilità, vedrà affiancati i normali computer a quelli quantistici, per sfruttarne le differenti abilità; bisogna poi considerare che molto probabilmente questi sistemi non finiranno mai sul mercato, non è che l’hacker di turno potrà un domani andare da trony a comprare il suo bel computer quantistico, per non parlare del fatto che queste macchine non hanno certo le dimensioni di un normale desktop. Bisogna poi considerare che se la tecnologia con la quale si realizzano i computer procede esponenzialmente, per cui possiamo già oggi essere sicuri che i computer che saranno sul mercato da qui a 10 anni saranno molto più potenti di quelli di oggi, non è che la crittografia se ne resti con le mani in mano; possiamo anzi aspettarci che, visto l’enorme mercato che sta nascendo intorno alla crittografia, il settore nei prossimi 10 anni farà enormi passi avanti, arrivando a produrre soluzioni che oggi probabilmente non possiamo nemmeno immaginare. A tal proposito basti solo pensare che, proprio all’inizio di questo mese, hanno iniziato a diffondersi voci secondo le quali la National Security Agency, la famiggerata NSA statunitense, ha già iniziato a tentare di sviluppare una crittografia a prova di computer quantistici; questo perché, come chiunque dotato di un minimo di intelletto arriva a capire, il problema riguarda più i sistemi di sicurezza a livello militare che la sicurezza della blockchain in se. Vorrei concludere questo articolo citando un ex sviluppatore Bitcoin Core, Peter Todd, non esattamente l’ultimo degli imbecilli in circolazione, che su questa storia ha dichiarato che:

“La svolta quantistica di Google non significa nulla perché si tratta di un sistema pensato per sviluppare un tipo di calcolo quantico, per altro primitivo, che non è neanche lontanamente vicino alla rottura della crittografia”

Ancora prima, nel 2017, gli esperti avevano già tentato di dissipare i falsi miti secondo cui tali i computer quantistici potrebbero minare la sicurezza della blockchain Bitcoin affermando, al parti di Peter Todd, che nessuno avrebbe potuto considerarsi anche solo lontanamente vicino alla rottura della crittografia. Insomma, la prossima volta che qualcuno vi dirà che le criptovalute sono destinate a morire a causa dei computer quantistici fategli una bella pernacchia e lasciatelo pure alle sue convinzioni costruite sul nulla, provare a spiegargli come stanno realmente le cose, fidatevi, si rivelerebbe solo tempo sprecato.

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