Possibile giro di vite in Russia e Iran sul mining di criptovalute

Recentemente stanno iniziando a circolare voci abbastanza inquietanti su scelte che, inevitabilmente, vengono viste dalla comunità come la dimostrazione della natura reazionaria e illiberale di quasi tutti i governi dei paesi più rilevanti sullo scacchiere geopolitico internazionale; difficile dire quale parte di queste voci sia vera e quale invece sia semplicemente FUD, fatto sta che le voci continuano a circolare. Ad aprire questa nuova levata di scudi contro bitcoin e criptovalute era stato qualche settimana fa un senatore dem degli stati uniti (Sherman) che aveva dichiarato durante un’audizione che gli USA dovrebbero emanare una legge che renda illegale il possesso e lo scambio di bitcoin e altre criptovalute; mentre quella del senatore americano appare essere stata soltanto una boutade (il paese in realtà si muove nella direzione opposta, tentando di regolamentare il settore senza sopprimerlo) sembra che invece in India vogliano fare sul serio. Sta circolando negli ultimi giorni la notizia di una condanna a 10 anni inflitta a un bitcoiners indiano per il semplice possesso di criptovaluta; tuttavia non ho avuto modo di verificare per bene questa news, per cui andrebbe presa molto con le pinze. Sappiamo per certo che c’è stata questa condanna, ma non sappiamo se la motivazione sia effettivamente riconducibile al semplice possesso o se invece non ci sia dietro un problema di riciclaggio. A rendere il quadro ancora più inquietante le notizie che giungono oggi dalla Russia da fonti di stampa, che ci informano della dichiarazione di Anatoly Aksakov, presidente del comitato della Duma di stato sul mercato finanziario, secondo cui andrebbero rese illegali sia l’attività mineraria che l’apertura di piattaforme di scambio nel paese; in questo caso non si parla esplicitamente di carcere ma di sanzioni economiche. Nonostante la durezza delle dichiarazioni di Aksakov lo stesso ha però dichiarato che questo non vieta ai cittadini russi il possesso di criptovalute, a patto che vengano acquistate su piattaforme non basate in Russia. A mettere nel mirino l’attività di mining è anche l’Iran (questa volta a mio parere correttamente); nel paese infatti sono presenti aiuti di stato ai cittadini per il pagamento delle bollette elettriche, cosa che rende estremamente basso il costo dell’elettricità in Iran. L’idea, da quello che si apprende, è di eliminare tali agevolazioni a chi mina criptovaluta, cosa che secondo me è assolutamente sensata; intanto perché lo stato sostiene i consumi elettrici delle famiglie e delle imprese che creano lavoro, per cui il mining esula da entrambe queste casistiche, in secondo luogo perché sono convinto che l’attività estrattiva di bitcoin debba reggersi sulle proprie gambe, senza aiuti di stato, ottimizzando le opportunità offerte dalle energie rinnovabili. In questo quadro internazionale che sconfina ai limiti dell’illiberale, almeno per quanto riguarda il discorso criptovalute, la posizione dell’Iran mi pare francamente non solo la meno reazionaria, ma persino, come detto, sensata. Nonostante queste notizie possano lasciar immaginare una fuga dalle criptovalute in realtà tutti i report più recenti dimostrano che i volumi delle transazioni bitcoin continuano ad aumentare, con buona pace dei governi; la comunità, come noto, è abbastanza divisa su questa questione, una parte guarda con occhio favorevole alla regolamentazione, dal momento che permetterebbe l’afflusso dei grandi capitali controllati dagli investitori istituzionali, ma la parte restante (incluso il sottoscritto) crede invece che l’afflusso di questi capitali inquini il mondo delle cripto, ritenendo che si dovrebbe andare avanti sulla strada dell’adozione di massa da parte delle persone comuni, infischiandosene beatamente di ciò che pensano i governi. In realtà è tutto molto relativo, anche nei paesi che dimostrano posizioni di maggior chiusura verso le criptovalute i governi sono essi stessi divisi tra chi questi strumenti li aborra e chi invece li considera una grande opportunità di rilancio economico; insomma, nulla di nuovo sotto al sole, per adesso si tratta più di chiacchiere che di qualcosa di concreto, il fatto però che alcuni dei maggiori paesi al mondo decidano proprio ora di tornare ad attaccare duramente le cripto, proprio quando bitcoin viene da un rally che ne ha triplicato il valore nel corso di questi primi mesi del 2019, lascia adito a diverse perplessità, soprattutto se consideriamo che gli stessi governi, durante tutto il mercato ribassista nel 2018, non avevano fatto un fiato. Che ci sia la volontà di tentare di arginare, a mezzo stampa, la crescita di bitcoin per tenerne bassi i prezzi? Sicuramente è una possibilità ed una lettura di queste dichiarazioni che merita di essere presa in considerazione, nonostante non vi sia alcuna certezza in proposito. L’unica cosa di cui possiamo essere certi è che la comunità dei bitcoiners non si lascerà spaventare dai vari governi e continuerà a sostenere senza se e senza ma questa nuova tecnologia, di questo abbiamo tali e tante prove ad oggi che sarebbe ridicolo anche solo ipotizzare il contrario.

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