Negli stati uniti continua la discussione sulle criptovalute e la comunità bitcoin inizia a temere un giro di vite

Negli USA la discussione su criptovalute e blockchain si fa sempre più vivace col passare degli anni e ormai sembra che siamo vicini a una regolamentazione del settore che appare sempre più inevitabile; il problema è che sul piano politico c’è una certa spaccatura e i politici americani sono divisi tra chi vorrebbe una regolamentazione leggera che permetta all’industria blockchain di crescere rapidamente e chi invece preferirebbe sopprimerla sul nascere. Negli ultimi giorni vedo i miei contatti americani sui social abbastanza preoccupati per il modo in cui la situazione potrebbe evolvere ed anche le aziende più rappresentative del settore (tra quelle basate negli USA) stanno portando avanti una campagna di comunicazione per informare gli utenti del tentativo di costruire una lobby forte che sia capace di guidare il processo normativo negli USA (l’attività di lobbying negli stati uniti è legale). Da qualche giorno ha iniziato a circolare un nuovo report, la cui stesura era stata richiesta dal think tank chiamato Congressional Research Service (CRS) in data 10 maggio che, in maniera abbastanza esemplificativa, si intitola: “The Potential Decline of Cash Usage and Related Implications“. Nel report oltre ad analizzare gli effetti del passaggio dal denaro contante a quello di plastica si prende in esame anche l’effetto che le criptovalute possono avere a livello economico nel paese. Il CRS, per quanto riguarda la questione cripto, muove la sua analisi a partire da bitcoin e conclude (in maniera a mio parere non sufficientemente supportata da prove) che, nonostante l’interesse delle persone e la domanda crescente, bitcoin non sarebbe sufficientemente utilizzato e accettato come forma di pagamento, apparendo quindi più simile a una forma di investimento che a una moneta. In realtà, come riporta anche Cointelegraph in un articolo in cui affronta lo stesso tema, sono disponibili analisi che dimostrerebbero esattamente il contrario, come ad esempio quella prodotta dalla società di software DataLight nel mese di aprile che ha dimostrato come bitcoin sia sostanzialmente già pronto a sostituire i contanti e le normali carte come principale forma di pagamento in tutto il mondo. Andando avanti di questo passo, sostiene la ricerca di DataLight, entro una quindicina d’anni bitcoin sbaraglierà la concorrenza. A tutto questo bisognerebbe aggiungere che, se come sostiene CRS bitcoin non è una moneta ma una forma di investimento, non si capisce allora quale bisogno ci sia di vietare le criptovalute. In realtà la sensazione è che le istituzioni si rendano perfettamente conto del fatto che le criptovalute, nel lungo periodo, appaiono chiaramente destinate a prevalere sulle valute FIAT ed è per questo che sono così preoccupate e si dannano l’anima alla ricerca di una forma di regolamentazione che permetta di bloccare l’avanzata inarrestabile di bitcoin e delle altre cripto. Il problema è che per ogni passo compiuto dalle istituzioni gli sviluppatori hanno dimostrato di avere già pronta una risposta capace di invalidare quella mossa; se anche le istituzioni chiudessero gli exchange ci sono già le piattaforme di scambio decentralizzate, se bloccassero internet sono già in orbita i satelliti, se bloccassero l’elettricità ci sono già oggi intere mining farm che usano quasi solo esclusivamente energie rinnovabili. Insomma, al netto del terrore da parte delle istituzioni di diventare anacronistiche, ad oggi l’unico metodo valido che i governi hanno trovato per arginare l’avanzata di bitcoin sembra essere di agire sul piano comunicativo spargendo FUD, mentre non sembrano capaci di produrre un quadro normativo tale da garantirgli un effettivo controllo su questi strumenti.

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