L’indice della miseria: il Misery Index

Un investitore alle prime armi brancola in mezzo ad una moltitudine di informazioni, spesso di difficile comprensione. Proprio per questo motivo è importante, almeno all’inizio, avere degli aggiornamenti di semplice lettura; a tal fine sono stati creati alcuni indicatori che riassumono molte di queste notizie in modo chiaro e trasparente. Faccio riferimento ad un famoso indicatore, il Misery Index, molto usato tra gli analisti per catturare alcuni aspetti decisivi dell’economia di un Paese.

Che cos’è e cosa mette in relazione l’indice della miseria?

Il Misery Index, o indice della miseria, aggrega il tasso di disoccupazione e il tasso di inflazione con l’obiettivo di valutare l’attuale condizione economica di un Paese in termini di povertà e infelicità. In particolare il Misery Index è semplicemente la somma algebrica tra tasso di disoccupazione e tasso d’inflazione in un certo periodo di tempo.

Come si legge

Per interpretare questo indice è importante conoscere l’assunto di base: sia l’aumento della disoccupazione, sia un forte aumento dell’inflazione hanno un impatto negativo sulla crescita economica. Questo accade perché un’alta disoccupazione è un primo freno alla produttività di un Paese rallentandone la crescita del Pil, mentre una forte inflazione prolungata nel tempo potrebbe causare una perdita del potere d’acquisto facendo crollare i consumi; al contrario, un aumento controllato dell’inflazione ha un buon effetto sulla crescita, ecco perché ancora oggi il target della Banca Centrale Europea e del suo governatore, Mario Draghi, sull’inflazione viene fissato ad una quota vicina al 2%.

Di conseguenza, maggiore è l’indice della miseria, come aggregato totale delle due misure, peggiori sono considerate le condizioni economiche di un paese. Al 2016, ecco quali sono stati i Paesi che hanno avuto un maggior indice della miseria:

dall’ultimo grafico disponibile in materia si evince come il Venezuela detenga il primato della cosiddetta “economia miserabile”; se prendiamo i risultati per il 2016, il Paese sud americano ha comunque mantenuto invariata la propria posizione confermandosi la peggiore economia del mondo per il secondo anno di fila. Questo fenomeno è dovuto principalmente ai cali del prezzo del petrolio nel periodo di riferimento, che ha avuto un effetto distruttivo per il Venezuela in quanto l’oro nero contribuisce tuttora al 95% delle esportazioni. Dal dato macroeconomico si nota come al momento il problema principale del Sud America, guardando Argentina e Venezuela sia l’inflazione, mentre in Europa, osservando Grecia, Italia e Spagna la componente principale sia la disoccupazione.

Un aspetto molto interessante è che il Misery Index cattura, in gran parte, le economie che stanno affrontando, o hanno affrontato, importanti crisi di governo, basti pensare alla crisi Greca, quella dell’Ucraina da parte della Russia sulla questione Crimea, o la sistematica crisi dell’Argentina; in alto alla classifica troviamo invece Paesi come Danimarca, Giappone, Svizzera e Singapore, ovvero i Paesi più stabili anche politicamente. Di conseguenza, salvo qualche labile imprecisione dalla classifica se ne desume un chiaro trend a discapito dei paesi sud americani e africani.

I limiti del Misery Index

Analizzando tuttavia l’intera classifica, l’indice si comporta piuttosto bene nell’andare a catturare i Paesi maggiormente infelici e in crisi; la semplice somma di due misure economiche riesce a cogliere e riassumere un punto di vista interessante e formativo per l’intera platea degli osservatori. Ciononostante bisogna notare che le due variabili utilizzate non sono omogenee: invero secondo alcuni studi la disoccupazione influisce maggiormente sulla percezione dell’infelicità rispetto all’inflazione. In buona sostanza, la formulazione dell’indice, come semplice somma non ponderata di due parametri disomogenei, ha ricevuto delle critiche negative.

Uno studio del 2001, fondato su ricerche condotte su larga scala in Europa e negli Stati Uniti, ha tratto la conclusione che la disoccupazione condiziona in modo molto maggiore la percezione dell’infelicità rispetto all’inflazione, ovvero all’aumento incontrollato dei prezzi. Ne deriva che il misery index di base sottovaluta l’infelicità riconducibile al tasso di disoccupazione, rispetto a quella attribuita all’inflazione: le analisi sul campo suggeriscono infatti che la gente scambierebbe un punto percentuale di disoccupazione per un aumento di 1,7 punti del tasso di inflazione. Le soluzioni a riguardo potrebbero essere l’introduzione di alcuni “pesi”, ossia effettuare una somma ponderata rispetto a una somma aritmetica, per dare maggiore importanza e rilievo ad una variabile rispetto ad un’altra, oppure utilizzare un modello più complicato aggiungendo altre due misure come i tassi di interesse e la previsione di crescita del prodotto interno lordo.

Perché è importante?

La conoscenza e l’uso di indicatori di questo tipo, adottati per sintetizzare la realtà economica, può essere utile non solo alla classe dirigente di un Paese, ma anche agli operatori al fine di valutare alcune opzioni di investimento in modo preliminare, arrivando a formarsi un’idea su tutte le possibili alternative presenti sui mercati finanziari. Tuttavia, quella che potremmo definire la verità economica di fatto, non è un semplice fenomeno da catturare nei suoi dettagli, dunque è importante considerare che indicatori come il Misery Index riescono a fotografare una situazione solo per grandi linee senza poter replicare puntualmente la realtà.

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